Sulle forme di protesta collettiva diverse dallo sciopero
Cass. civ., sez. lav., sent. 11 aprile 2025, n. 9526
Con la sentenza in oggetto, la Cassazione ricorda che lo sciopero, per quanto espressamente tutelato dall’art. 40 della Costituzione, è soltanto una delle possibili manifestazioni dell’autotutela e del conflitto collettivo, protette dall’ordinamento direttamente attraverso la garanzia della libertà sindacale.
Il caso riguardava il licenziamento per insubordinazione di un gruppo di lavoratori, i quali avevano prestato la loro attività secondo la turnazione prevista dal ccnl anziché secondo quella decisa con accordo aziendale, per protestare contro la decisione dell’azienda di mantenere quest’ultima turnazione senza continuare a pagare l’indennità pattuita.
La Corte di Appello, pur riconoscendo il valore di protesta collettiva del contegno dei lavoratori, aveva escluso che potesse trattarsi di sciopero in mancanza di proclamazione da parte del sindacato e di astensione del lavoro, affermando che tale forma di protesta si poneva al di fuori delle forme di autotutela protette dall’ordinamento. Pertanto, i licenziamenti non erano discriminatori e ritorsivi, ma soltanto illeciti in quanto il comportamento non poteva essere qualificato come insubordinazione ma come un illecito disciplinare più lieve, per cui il contratto collettivo prevede una sanzione conservativa.
Era stata quindi applicata la tutela reintegratoria attenuata.
Secondo la Cassazione, invece, pur non potendosi parlare di sciopero in mancanza di astensione dal lavoro, la Corte di Appello aveva errato nel disconoscere la finalità sindacale della protesta, cioè di tutela delle condizioni di lavoro su un piano collettivo, la cui ricorrenza non richiede il coinvolgimento del sindacato. Pertanto, il contegno tenuto dai lavoratori doveva essere protetto come manifestazione di libertà sindacale e i licenziamenti erano nulli perché posti in essere in relazione allo svolgimento di attività sindacale, ai sensi dell’art. 4 della l. n. 604 del 1966.