Dimissioni per fatti concludenti: tre recenti pronunce
Trib. Milano, 11 novembre 2025
Trib. Bergamo, 9 ottobre 2025
Trib. Ravenna, 11 dicembre 2025
Tre recenti pronunce si sono diversamente orientate sul tema delle c.d. dimissioni per fatti concludenti (o di fatto), per come disciplinate alla luce del recente intervento normativo operato dal c.d. Collegato Lavoro (art. 19, l.n. 203/2024) novellando l’art. 26, d.lgs. 151/2015 e introducendovi un comma 7-bis. Oggetto di diversa soluzione è proprio la possibilità e le modalità con cui fare ricorso alle previsioni del CCNL applicato per risalire al periodo di assenza ingiustificata oltre il quale il rapporto può ritenersi risolto e il datore può avviare la procedura semplificata di cui all’art. 7-bis.
Secondo il Tribunale di Milano, in assenza della previsione di un termine specifico, è legittimo il ricorso al termine rilevante ai fini dell’applicazione della più grave sanzione del licenziamento disciplinare (nel caso di specie pari a 3 giorni, ben inferiore ai 15 giorni previsti dalla legge in assenza di una previsione della contrattazione collettiva, su cui insisteva la lavoratrice soccombente). Secondo i giudici infatti “il legislatore, nel rinviare alla contrattazione collettiva, ha inteso valorizzare la soglia di tolleranza che le stesse parti sociali hanno individuato come critica, ovvero il numero di giorni di assenza la cui gravità è tale da giustificare la sanzione massima della risoluzione del rapporto”. La nuova norma, continuano i giudici “non fa altro che mutare la qualificazione giuridica degli effetti di tale condotta, trasformandola da presupposto per un licenziamento datoriale a fatto concludente che manifesta la volontà del lavoratore di recedere”.
Il Tribunale di Bergamo invece, ritiene non applicabile il termine previsto dal CCNL al fine di legittimare il datore di lavoro alla sanzione del licenziamento per assenza ingiustificata, in quanto tale previsione contrattuale – in assenza di una disciplina specifica in tema di “dimissioni volontarie per assenza ingiustificata” – riguarda un istituto del tutto diverso, ovverosia il licenziamento disciplinare. Il termine ivi previsto ha la funzione di individuare la misura della gravità dell’inadempimento che le parti collettive ritengono sufficiente a rendere intollerabile la prosecuzione del rapporto lavorativo, con conseguente possibilità per il datore di lavoro di procedere alla sanzione disciplinare, con le garanzie procedurali ex l. 300/1970; nel caso disciplinato dall’art. 26, c. 7-bis d.lgs. 151/2015, invece, il termine di 15 giorni previsto dalla legge (o quello diverso e – si deve ritenere, comunque maggiore – stabilito dalla contrattazione collettiva) ha la funzione di individuare la misura in cui il comportamento del lavoratore, che continuativamente non si presenti a rendere la prestazione per la giornata lavorativa, possa generare la presunzione di una volontà del lavoratore di sciogliere il rapporto. Secondo il giudice “è evidente che l’operatività di tale presunzione, peraltro non assistita dalle penetranti garanzie ex l. 300/1970, richieda un termine ben più lungo di quello generalmente previsto dai CCNL ai fini del licenziamento disciplinare, che sia idoneo a rendere inequivocabile il disinteresse del lavoratore alla prosecuzione del rapporto”.
La conclusione del Tribunale di Bergamo è peraltro coerente con quanto già affermato anche dalla circolare n. 6/2025 del Ministero del Lavoro, che non manca di richiamare nella pronuncia (“Per quanto concerne la durata dell’assenza che può determinare la configurazione delle dimissioni per fatti concludenti, l’articolo 19 prevede che la stessa, in mancanza di specifica previsione nel CCNL applicato al rapporto di lavoro, debba essere superiore a quindici giorni. I giorni di assenza, in mancanza di ulteriori specificazioni da parte della norma”).
Nella stessa direzione del Tribunale di Bergamo si è recentemente orientato anche il Tribunale di Ravenna che ha anzitutto rilevato che “la normativa di recente introduzione si rivela […] altamente carente dal punto di vista degli elementi strutturalmente necessari per integrarne la fattispecie”. Il Giudice sottolinea quindi che la nuova normativa non può ricavare una presunzione assoluta di volontà di dimissioni da un comportamento del lavoratore che, per la brevità dell’assenza, si presenta ancora connotato da ambiguità.
La nuova norma infatti ha previsto, in assenza di una diversa disposizione dei CCNL, un termine normativo di almeno 15 giorni di assenza ingiustificata per l’attivazione della presunzione della volontà dimissionaria, bilanciando così i principi di tutela lavoristica e di libertà di impresa. Tale equilibrio tra contrapposti interessi e principi deve quindi ritenersi in grado di dispiegare i propri effetti anche verso la contrattazione collettiva, impedendo così che ai fini del comma 7-bis possano rilevare i termini previsti dai contratti collettivi per l’attivazione della procedura di licenziamento disciplinare “in quanto eccessivamente brevi per poterne indurre, con presunzione legale assoluta, una volontà dimissionaria”. L’intervento della contrattazione collettiva, dovrà quindi passare attraverso la previsione di termini ad hoc sufficientemente ampi per poterne dedurre una volontà inequivoca di dimissioni; a ciò si aggiunge, in coerenza con quanto già osservato, che tali termini non potranno derogare in pejus il termine di 15 giorni – esito del suddetto bilanciamento e parametro di ragionevolezza – previsto dal comma 7-bis.



