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Archivio per categoria: Giurisprudenza

L’azienda non può essere «sede protetta» per la conciliazione

2 Maggio 2024da Admin2

Cass. civ., sez. lav., ord. 15 aprile 2024, n. 10065

I locali aziendali, se il dipendente è assistito da un rappresentante sindacale, possono essere sede idonea per una conciliazione inoppugnabile ai sensi dell’art. 2113 c.c. Questa era la tesi sostenuta da una Società ricorrente in Cassazione contro la sentenza che aveva ritenuto invalida la conciliazione avente ad oggetto la riduzione della retribuzione al fine di conservazione dell’occupazione, come previsto dall’art. 2103 c.c., sesto comma, ma stipulata nella sede aziendale, pur con l’assistenza di un rappresentante sindacale. Quest’ultima circostanza, secondo la ricorrente, era sufficiente affinché la conciliazione risultasse sottoscritta «in sede sindacale» come previsto dall’art. 411 del Codice di procedura civile.

La Cassazione, tuttavia, ha confermato l’invalidità della conciliazione, sottolineando che gli artt. 410, 411, 412-ter e 412-quater c.p.c. non si limitano ad individuare gli organi dinanzi ai quali possono svolgersi le conciliazioni ma anche le sedi – intese come luoghi fisici – presso le quali possono avvenire. Pertanto, il riferimento alla «sede sindacale» di cui all’art. 411 c.p.c. non può consentire di annoverare la sede aziendale fra le sedi protette, anche se alla conciliazione è presente un rappresentante sindacale.

https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2020/03/conference-room-768441__340.jpg 340 510 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22024-05-02 19:26:322024-05-02 19:26:32L’azienda non può essere «sede protetta» per la conciliazione
La Corte di Cassazione
Giurisprudenza in Giurisprudenza

Illegittima collocazione in cassa integrazione e danno alla professionalità del lavoratore

2 Maggio 2024da Admin2

Cass. civ., sez. lav., ord. 16 aprile 2024, n. 10267

La Cassazione conferma che, in presenza di adeguate allegazioni, lo stato di inattività forzata in cui venga costretto il dipendente può cagionare un danno alla sua professionalità, dal momento che il fatto di non aver potuto esercitare la propria prestazione lavorativa lede l’immagine professionale e può provocare il depauperamento del patrimonio professionale del dipendente, rendendone più difficile il ricollocamento sul mercato del lavoro.

Il caso concreto era quello di una lavoratrice, tenuta in cassa integrazione guadagni per oltre un decennio senza essere coinvolta nelle rotazioni del personale e senza ricevere alcun tipo di corsi di formazione o finalizzati al rientro al lavoro. L’intero procedimento di cassa integrazione era, peraltro, viziato da gravi irregolarità amministrative.

La Cassazione ha interamente suffragato le argomentazioni della Corte d’Appello che aveva riconosciuto il danno alla professionalità e lo aveva liquidato in percentuale della retribuzione, attraverso un accertamento in linea con la giurisprudenza di legittimità secondo cui il danno alla professionalità può essere provato anche presuntivamente se ricorrono elementi indiziari gravi, precisi e concordanti riguardi alla qualità e quantità dell’attività svolta, al tipo e alla natura della professionalità coinvolta, alla durata del demansionamento e alla diversa e nuova collocazione lavorativa assunta dopo la dequalificazione.

La Corte ha altresì puntualizzato che non fa alcuna differenza, sul piano del danno e del connesso obbligo risarcitorio, che l’inattività del lavoratore discenda dall’essere collocato illegittimamente in Cassa Integrazione ovvero che dipenda dalla violazione dell’art. 2013 c.c., come nel caso dello svuotamento di mansioni o simili: in entrambi i casi, infatti, l’illecito discende dalla violazione di norme che integrano il contratto di lavoro e quindi configurano una forma di responsabilità contrattuale.

https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2015/05/Corte-cassazione.jpg 417 600 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22024-05-02 19:24:582024-05-02 19:24:58Illegittima collocazione in cassa integrazione e danno alla professionalità del lavoratore
Giurisprudenza in Giurisprudenza

L’onere della prova del mancato godimento delle pause

2 Maggio 2024da Admin2

Cass. civ., sez. lav., ord. 2 aprile 2024, n. 8626

In una controversia in tema di pagamento per il mancato godimento delle pause per le prestazioni eccedenti le sei ore giornaliere e dei relativi riposi compensativi, previsti dal contratto collettivo applicabile al rapporto (ccnl Vigilanza Privata, art. 74) la Corte di Appello aveva ritenuto infondata la domanda del lavoratore, ritenendo che l’onere di allegazione e prova spettante a quest’ultimo comprendesse sia il mancato godimento delle pause, sia il mancato godimento dei riposi compensativi.

La Cassazione ha censurato il ragionamento della Corte di merito: la fruizione dei riposi compensativi è un fatto estintivo del diritto insorgente dal mancato godimento delle pause e, come tale, deve essere allegata e provata dal datore di lavoro che la eccepisca. Pertanto, la Corte ha cassato con rinvio alla Corte di Appello, formulando il principio di diritto secondo cui, in materia di mancato godimento delle pause previste dall’art. 74 del ccnl Vigilanza privata, il lavoratore ha l’onere di allegazione e prova del fatto costitutivo del proprio diritto, corrispondente alla prestazione di un’attività giornaliera superiore alle sei ore senza aver goduto della pausa retribuita; mentre le modalità alternative di fruizione della pausa, quali i riposi compensativi, devono essere provati dal datore di lavoro.

https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2018/06/jobs-3.jpg 384 575 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22024-05-02 19:20:562024-05-02 19:20:56L’onere della prova del mancato godimento delle pause
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Giurisprudenza in Giurisprudenza

Violazione del repêchage e reintegrazione

2 Maggio 2024da Admin2

Cass. civ., sez. l., ord. 12 aprile 2024, n. 9937

Una società ricorreva in Cassazione contro la sentenza con cui era stata condannata alla reintegrazione attenuata di un dipendente licenziato per ritenuta inidoneità fisica, per avere la Corte di Appello ritenuto non dimostrata l’impossibilità del repêchage del lavoratore.

Per quanto interessa, nei motivi di ricorso la società sosteneva che la sanzione conseguente alla violazione del c.d. repêchage non dovesse essere la reintegrazione attenuata ex art. 18, co. 4, dello Statuto, bensì la tutela indennitaria di cui al comma seguente, Nel rigettare il ricorso, la Cassazione ha colto l’occasione per ribadire quelli che ormai sembrano essere principi consolidati: intanto, che in caso di licenziamento per idoneità sopravvenuta, la violazione dell’obbligo datoriale di adibire il lavoratore ad alternative possibili mansioni compatibili con il suo stato di salute integra il difetto di giustificazione, suscettibile di reintegrazione.

Più in generale la Corte ha ricordato che, in seguito all’eliminazione della discrezionalità del giudice nell’applicazione della tutela reale e del requisito della «manifesta» insussistenza del g.m.o. da parte delle sentenze della Corte costituzionale 59/2021 e 125/2022 , la reintegrazione rappresenta la conseguenza necessaria della violazione dell’obbligo di repêchage dal momento che, secondo l’orientamento consolidatosi negli ultimi anni, il fatto costitutivo del giustificato motivo oggettivo comprende anche l’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore.

https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2017/11/pexels-photo-207924-2.jpeg 3205 5717 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22024-05-02 19:20:062024-05-02 19:20:06Violazione del repêchage e reintegrazione
Giurisprudenza in Giurisprudenza

Mancata previsione del diritto di precedenza nel contratto (stagionale) a termine

2 Maggio 2024da Admin2

Cass. civ., sez. lav., 9 aprile 2024, n. 9444

Una recente sentenza della Suprema Corte offre un importante contributo in tema di conseguenze della violazione dell’obbligo di prevedere per iscritto il diritto di precedenza del lavoratore assunto a termine nel contratto di lavoro (art. 24, co. 4, d.lgs. 81/2015). La sentenza della Corte d’Appello, impugnata dai lavoratori ricorrenti, aveva accertato la violazione dell’obbligo da parte del datore di lavoro e aveva ritenuto che ciò comportasse, come unica conseguenza, l’inoperatività del termine di decadenza previsto dalla stessa disposizione, secondo cui il lavoratore che intenda avvalersi del diritto di precedenza deve comunicarlo al datore entro sei mesi dalla cessazione del rapporto (o entro tre mesi, nel caso di attività stagionali).

La Cassazione ha ritenuto insoddisfacente tale soluzione. Infatti, benché dal mancato inserimento della clausola non possa derivare l’instaurazione di un rapporto a tempo indeterminato ab origine, oltre all’impossibilità per il datore di far valere la decadenza dall’esercizio del diritto, essendo la previsione per iscritto nel contratto evidentemente finalizzata a garantire la conoscibilità del diritto e delle sue modalità di esercizio da parte del lavoratore, l’inadempimento dell’obbligo, nel caso in cui il datore abbia proceduto a nuove assunzioni nel periodo coperto dal diritto di precedenza, comporta altresì il risarcimento del danno ex art. 1218 c.c. per inadempimento di uno specifico obbligo contrattuale.

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Giurisprudenza in Giurisprudenza

Licenziamenti, piccole imprese e non regressione della tutela reintegratoria

26 Marzo 2024da Admin2

Disciplina dei licenziamenti e non regressione della tutela reintegratoria per i dipendenti di piccole imprese diventate “più grandi” dopo il Jobs Act.

Un mio breve commento alla recente sentenza della Corte costituzionale n. 44/2024 pubblicato su Diritto e giustizia.

Ancora una volta la Corte Costituzionale è chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale del Jobs Act. In tal caso viene in considerazione lo spartiacque del 7 marzo 2015 che cristallizza le discipline applicabili alla data di entrata in vigore della riforma. Più che il tema dell’adeguatezza rimediale qui viene in considerazione quello del diritto intertemporale e della conservazione della tutela reintegratoria per i lavoratori che ne beneficiavano prima dell’avvento della nuova disciplina.

 

Qui il link: https://www.dirittoegiustizia.it/#/documentDetail/10868201

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Prof.Avv.
Pasqualino Albi

Pasqualino Albi è professore ordinario di diritto del lavoro nel dipartimento di giurisprudenza dell’Università di Pisa e avvocato giuslavorista. È autore di oltre cento pubblicazioni scientifiche in materia di diritto del lavoro, fra le quali tre monografie.

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