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Archivio per categoria: Giurisprudenza

Dipendente pubblico timbra ma non è in ufficio: legittimo il licenziamento

30 Ottobre 2023da Admin2

La Cassazione, con una recente decisione (Cass. civ., sez. lav. sent. 19/19/2023, n. 29028), ha affermato la legittimità del licenziamento nel caso in cui il dipendente pubblico, anche consegnando il proprio badge a colleghi, effettui la timbratura senza essere presente in ufficio.

Tale ipotesi è riconducibile alla fattispecie di «assenza ingiustificata dal lavoro con falsa attestazione della presenza in servizio con modalità fraudolente» sanzionata con il licenziamento disciplinare dall’art. 55-quater del d.lgs. 165/2001: la Corte infatti precisa che tale disposizione non riguarda solo i casi di alterazione o manomissione del sistema di rilevazione delle presenze, ma «tutti i casi in cui la timbratura, o altro sistema di registrazione della presenza in ufficio, miri a far risultare falsamente che il lavoratore è rimasto in ufficio durante l’intervallo temporale compreso tra le timbrature/registrazioni in entrata ed in uscita».

La Corte, peraltro, specifica che le ipotesi di licenziamento disciplinare previste dall’art. 55-quater del d.lgs. 165/2001, essendo previste da una fonte sovraordinata quale la legge, si sostituiscono di diritto alle previsioni difformi eventualmente contenute nei contratti collettivi.

https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/03/timbro_cartellino_FTG2.jpg 270 400 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22023-10-30 11:12:272023-10-30 11:48:32Dipendente pubblico timbra ma non è in ufficio: legittimo il licenziamento
Giurisprudenza in Giurisprudenza

Part time e licenziamento del lavoratore in caso di rifiuto della trasformazione del rapporto

30 Ottobre 2023da Admin2

La Cassazione, con una recente decisione (Cass. civ., sez. lavoro, ord. 23/10/2023, n. 29337) torna sull’interpretazione dell’art. 8, c. 1, d.lgs. 81/2015, secondo cui «il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, o viceversa, non costituisce giustificato motivo di licenziamento». Secondo la Corte, tale disposizione non preclude in assoluto il licenziamento per giustificato motivo oggettivo in caso di rifiuto, da parte del lavoratore, della trasformazione di un rapporto part time in full time (o viceversa), ma comporta una rimodulazione dell’onere probatorio del datore di lavoro.

Il datore ha l’onere di provare che il licenziamento non è stato intimato a causa del rifiuto ma a causa dell’impossibilità di utilizzo della prestazione a tempo parziale, nel caso in cui il lavoratore abbia rifiutato la trasformazione. La dimostrazione dell’impossibilità di continuare ad utilizzare la prestazione a tempo parziale si aggiunge ai consueti requisiti di legittimità del recesso per giustificato motivo oggettivo.

La Cassazione precisa anche che non è possibile escludere a prescindere la natura ritorsiva del recesso intimato al lavoratore che abbia rifiutato la trasformazione del rapporto, che però deve essere provata dal lavoratore, anche per presunzioni. Peraltro, alla prova della natura ritorsiva del licenziamento segue la sanzione della nullità solo se la ritorsione sia stata il motivo unico e determinante del recesso.

https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2018/03/pexels-photo-652355.jpeg 700 1057 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22023-10-30 11:12:092023-10-30 11:12:09Part time e licenziamento del lavoratore in caso di rifiuto della trasformazione del rapporto
Giurisprudenza in Giurisprudenza

Sulla illegittima reiterazione di contratti a termine nella p.a.

13 Ottobre 2023da Admin2

La Corte di Cassazione, con la sentenza del 03/10/2023, n. 27882, precisa un aspetto specifico del regime applicabile al risarcimento del danno ex art. 28 del d.lgs. 81/2015 per il caso di abuso di contratti a termine da parte di una p.a. In una fattispecie nella quale la proposta di assunzione a tempo indeterminato da parte della p.a. responsabile dell’abuso era avvenuta solo a causa già iniziata, quando la ricorrente aveva già trovato impiego a tempo indeterminato presso una diversa amministrazione, la Corte ha affermato che l’«offerta di immissione in ruolo del lavoratore, che intervenga solo dopo che questo è stato assunto a tempo indeterminato da altra pubblica amministrazione e senza alcuna connessione con la successione dei contratti a termine, non è idonea a reintegrare le conseguenze pregiudizievoli dell’illecito e, pertanto, non esclude il diritto del lavoratore al risarcimento per equivalente pecuniario, nei termini in cui esso è riconosciuto dall’ordinamento».

https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2020/05/240_F_280013047_cnRRwl0NQfwX7LVOZLmu96taIotzcis4-e1589980238367.jpg 218 360 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22023-10-13 15:59:022023-10-13 16:04:06Sulla illegittima reiterazione di contratti a termine nella p.a.
Giurisprudenza in Giurisprudenza

La Cassazione interviene sul «salario minimo»

13 Ottobre 2023da Admin2

Con due attese decisioni «gemelle» (Cass. 2/10/2023, n. 27711 e Cass. 2/10/2023, n. 27769), la Cassazione è intervenuta sul dibattito giurisprudenziale che ha coinvolto i livelli retributivi previsti da alcuni contratti collettivi, ritenuti da un numero crescente di giudici di merito contrastanti con il «salario minimo costituzionale» previsto dall’art. 36 della Costituzione, che individua i canoni indissolubili della «sufficienza» e della «proporzionalità» della retribuzione.

In proposito, la Corte ha affermato che i contratti collettivi, anche se sottoscritti dai sindacati comparativamente più rappresentativi, sono assistiti da una presunzione di adeguatezza rispetto all’art. 36 di natura soltanto relativa. Il giudice, pertanto, motivando adeguatamente, può discostarsene qualora le retribuzioni ivi previste non siano idonee a garantire un’«esistenza libera e dignitosa»: concetto, quest’ultimo, che identifica un livello retributivo superiore a quello utile a garantire la mera sussistenza.

Per valutare l’idoneità delle retribuzioni previste dai contratti collettivi, il giudice può anche fare riferimento a indici statistici quali quelli Istat sulla soglia di povertà e può confrontare la retribuzione con quella prevista per attività lavorative analoghe da altri contratti collettivi.

https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2020/04/pila-di-moneta-dei-soldi-con-il-grafico-commerciale_1150-17752.jpg 417 626 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22023-10-13 15:58:192023-10-13 15:58:19La Cassazione interviene sul «salario minimo»
Giurisprudenza in Giurisprudenza

Garante privacy: il lavoratore ha diritto di accesso ai propri dati personali contenuti in una relazione investigativa

20 Settembre 2023da Admin2

Con provvedimento n. 290 del 6 luglio 2023 il Garante privacy ha deciso su un reclamo proposto da un lavoratore che aveva chiesto al proprio datore di lavoro di avere “accesso ai propri dati aventi ad oggetto i fatti ed i comportamenti asseritamente irregolari indicati nella lettera di contestazione di addebito”.

Per il Garante l’inidoneo riscontro alle istanze di accesso presentate dal reclamante risulta illecito in relazione agli artt. 5, par. 1, lett. a), 12 e 15 del Regolamento.

In sintesi, per il Garante, non è conforme a quanto stabilito dall’art. 15 subordinare il riscontro all’istanza di accesso alla indicazione dettagliata da parte dell’interessato dei “documenti” cui si chiede di accedere.

Inoltre, il menzionato art. 15 del Regolamento, quanto all’oggetto del diritto di accesso, chiarisce che questo ricomprende anche le “categorie di dati personali” nonché “qualora i dati non siano raccolti presso l’interessato, tutte le informazioni disponibili sulla loro origine”.

Pertanto la Società, riscontrando le istanze del reclamante, avrebbe dovuto fornire tutti i dati raccolti con la relazione investigativa, considerato che la stessa contiene anche categorie di dati relative al reclamante (fotografie, una rilevazione Gps, descrizioni di luoghi, persone e situazioni) che non sono state trasferite nella contestazione disciplinare.

L’art. 15 prevede altresì che, qualora i dati non siano raccolti direttamente presso l’interessato (come nel caso di specie), il titolare del trattamento debba indicare la loro origine. Nel caso di specie tale informazione non era stata fornita in sede di riscontro all’istanza di accesso.

Quanto alle modalità del riscontro che il titolare del trattamento deve fornire a seguito della richiesta di esercizio dei diritti da parte dell’interessato, l’art. 12 prescrive, poi, che il titolare “agevola l’esercizio dei diritti” e fornisce “le informazioni relative all’azione intrapresa […] senza ingiustificato ritardo e, comunque, al più tardi entro un mese dal ricevimento della richiesta” e “se non ottempera alla richiesta dell’interessato, il titolare del trattamento informa l’interessato senza ritardo […] dei motivi dell’inottemperanza e della possibilità di proporre reclamo a un’autorità di controllo e di proporre ricorso giurisdizionale”.

Informazioni mai fornite dalla società al lavoratore.

Infine, la condotta della Società non appare conforme al principio di correttezza del trattamento, che costituisce uno dei principi generali in materia anche con particolare riguardo all’ambito del rapporto di lavoro (art. 5, par. 1, lett. a) del Regolamento), posto che il titolare non ha indicato la specifica origine dei dati utilizzati per la contestazione disciplinare né ha rappresentato la sussistenza di un concreto pregiudizio all’esercizio di un proprio diritto.

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Giurisprudenza in Giurisprudenza

Cassazione: quale tutela per il licenziamento in prova se il patto è nullo?

20 Settembre 2023da Admin2

La Cassazione, nella sentenza 14 luglio 2023, n. 20239, affronta il tema della tutela applicabile, nel regime di cui al D.Lgs. n. 23 del 2015 (c. d. Jobs Act), al caso del recesso del datore di lavoro in periodo di prova, nel caso in cui il patto sia risultato nullo.

Dopo aver rimarcato che la nullità del patto di prova fa venir meno il regime della libera recedibilità e, dunque, il recesso datoriale deve equipararsi ad un ordinario licenziamento soggetto alla verifica giudiziale della sussistenza o meno della giusta causa o del giustificato motivo, la Corte ritiene innanzitutto non applicabile la disciplina delle nullità di recesso di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 23/2015, essendo tale norma applicabile esclusivamente “all’ipotesi di licenziamento discriminatorio e agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge”.

La Corte ha conseguentemente esaminato l’art. 3 del c.d. Jobs Act, al fine di verificare la tutela applicabile al caso di specie, ritenendo che la tutela reintegratoria assume un carattere meramente residuale, essendo applicabile solo alle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, con la conseguenza che il recesso ad nutum intimato senza un valido patto di prova, non essendo riconducibile ad alcuna delle suddette specifiche ipotesi, è da ritenersi assoggettato alla regola generale della tutela indennitaria.

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Prof.Avv.
Pasqualino Albi

Pasqualino Albi è professore ordinario di diritto del lavoro nel dipartimento di giurisprudenza dell’Università di Pisa e avvocato giuslavorista. È autore di oltre cento pubblicazioni scientifiche in materia di diritto del lavoro, fra le quali tre monografie.

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