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Archivio per categoria: Giurisprudenza

Sui contratti a termine nella p.a.: rimessione alla CGUE

12 Settembre 20160 Commenti-da admin

Si segnala, per la sua particolare importanza, l’Ordinanza del Tribunale di Trapani emanata il 5 settembre scorso, che ha sollevato questione di pregiudizialità invitando la Corte di Giustizia dell’Unione europea a fornire le “precisazioni dirette a guidare il giudice nazionale nella sua valutazione” menzionate nella sentenza emessa nel corso della causa C-22/2013 e cause riunite (Casa Mascolo), quindi, ai sensi dell’art. 267 TFUE, a pronunciarsi sui seguenti quesiti:

1) Se rappresenti misura Equivalente ed Effettiva, nel senso di cui alle pronunce della Corte di Giustizia Mascolo (C-22/13 e riunite) e Marrosu (C-53/04), l’attribuzione di una indennità compresa fra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione (art. 32 co. 5° L. 183/2010) al dipendente pubblico, vittima di un’abusiva reiterazione di contratti di lavoro a tempo determinato, con la possibilità per costui di conseguire l’integrale ristoro del danno solo provando la perdita di altre opportunità lavorative oppure provando che, se fosse stato bandito un regolare concorso, questo sarebbe stato vinto.

2) Se, il principio di Equivalenza menzionato dalla Corte di Giustizia (fra l’altro) nelle dette pronunce, vada inteso nel senso che, laddove lo Stato membro decida di non applicare al settore pubblico la conversione del rapporto li lavoro (riconosciuta nel settore privato), questi sia tenuto comunque a garantire al lavoratore la medesima utilità, eventualmente mediante un risarcimento del danno che abbia necessariamente ad oggetto il valore del posto di lavoro a tempo indeterminato.

 

Ordinanza del Tribunale di Trapani, 5 settembre 2016 - Giudice Petrusa

  • ordinanza-trib-trapani-5-9-16-giudice-petrusa
https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/11/testata-giurisprudenza.jpg 300 500 admin https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png admin2016-09-12 12:51:392019-11-04 16:50:18Sui contratti a termine nella p.a.: rimessione alla CGUE
Giurisprudenza in Giurisprudenza

Sorveglianza sanitaria e “basso rischio”

6 Settembre 20160 Commenti-da admin

Con la sentenza n. 35425 del 24 agosto 2016, la Corte di Cassazione penale, III sezione, ha confermato la decisione del giudice di merito che ha condannato il medico competente di un’impresa per la violazione degli obblighi ex art. 25 lett. b) d.lgs. n. 81/2008, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

Secondo la tesi dei legali del medico competente, non era dovuto l’obbligo alla programmazione della sorveglianza sanitaria, perché il rischio era “incerto” e di basso livello.

La Corte ha rigettato il ricorso ritenendo il medico competente obbligato alla programmazione della sorveglianza sanitaria, attraverso protocolli sanitari definiti in funzione dei rischi specifici e tenendo in considerazione gli indirizzi scientifici più avanzati. (ai sensi dell’art. 25,  lett. b) e dell’art. 41, d.lgs. n. 81/2008).

Secondo la Corte, il “complesso di obblighi di collaborazione e di controllo in materia di prevenzione rischi e sorveglianza sanitaria, come delineato dalla normativa di settore”, portano “all’osservanza degli obblighi tra cui deve essere individuato quello della sorveglianza sanitaria sulla base dei rischi indicati negli artt. 167 e 168, e nell’allegato 33 e dunque dei rischi da sovraccarico biomeccanico. Diversamente argomentando si vanificherebbe la ratio di prevenzione in materia di salute e sicurezza del lavoro”.

Il basso o “incerto” rischio è, infatti, irrilevante non prevedendo la disciplina livelli minimi o gradienti di rischio da considerare.

In conclusione, il rischio era stato identificato e correlato alla specifica attività lavorativa, pertanto, la sua sussistenza richiedeva comunque la sorveglianza sanitaria.

https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/11/testata-giurisprudenza.jpg 300 500 admin https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png admin2016-09-06 15:27:382019-11-04 16:50:18Sorveglianza sanitaria e "basso rischio"
Giurisprudenza in Giurisprudenza

Licenziamento discriminatorio e maternità

6 Settembre 20160 Commenti-da admin

Una dipendente, decorsi tre giorni dall’inoperatività del divieto di cui all’art. 56 d.lgs. n. 151 del 2001 e al termine di un’astensione dal lavoro di un anno e quattro mesi, era stata immediatamente trasferita in un’altra filiale della società posta a oltre 150 chilometri dalla sede originaria.

Al rifiuto opposto dalla lavoratrice al trasferimento, la società aveva reagito con il licenziamento.

La lavoratrice aveva impugnato il licenziamento per motivi discriminatori.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15435 del 26 luglio 2016, ha dichiarato la nullità del trasferimento e del licenziamento, confermando la decisione della Corte d’appello che ha accertato come gli elementi fattuali emersi nel giudizio fossero “idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione di atti, patti o comportamenti discriminatori”; secondo le previsioni contenute all’articolo 40 del d.lgs. n. 198/2006, l’onere della prova dell’insussistenza della discriminazione spettava, dunque, al datore di lavoro il quale non è riuscito ad assolverlo.

Ad avviso della Corte l’adempimento dell’onere probatorio previsto dalla citata disposizione non è collegato esclusivamente alla produzione di dati di carattere statistico: gli elementi di fatto possono essere tratti “anche” da dati di carattere statistico. La disposizione, infatti, “è palesemente diretta a corroborare lo sforzo difensivo del lavoratore e a facilitare l’emersione della condotta illecita”, di cui il lavoratore sia stato vittima.

 

https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/11/testata-giurisprudenza.jpg 300 500 admin https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png admin2016-09-06 15:25:012019-11-04 16:50:18Licenziamento discriminatorio e maternità
Giurisprudenza in Giurisprudenza

Accesso agli atti e provvedimenti ispettivi

8 Agosto 20160 Commenti-da admin

Con sentenza n. 2500 del 10 giugno 2016, il Consiglio di Stato ha confermato una precedente sentenza del TAR della Sardegna, osservando che la negazione dell’accesso agli atti del procedimento ispettivo ai sensi degli artt. 2, comma 1, lettera d) e 3, comma 1, lettera d) del DM n. 757 del 4 novembre 1994 deve essere basata su elementi di fatto concreti, e non su una presunzione assoluta.

La disciplina infatti non preclude in via assoluta l’accesso ai verbali ispettivi, bensì limita il diritto di accesso ai “documenti contenenti le notizie acquisite nel corso dell’attività ispettiva, quando dalla loro divulgazione possono derivare azioni discriminatorie o indebite pressioni o pregiudizi a carico dei lavoratori o di terzi”

La ratio è, dunque, quella di tutelare i lavoratori ed i terzi che collaborino in sede ispettiva per far emergere l’irregolarità nella gestione del rapporto di lavoro.

Ne discende che l’amministrazione ha l’obbligo di valutare se la divulgazione dei verbali ispettivi è idonea a ledere la posizione dei soggetti che hanno reso le dichiarazioni in sede ispettiva ed è onerata, in caso di opposizione al provvedimento negativo, della prova di detti pregiudizi.

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Giurisprudenza in Giurisprudenza

Utilizzo di password e licenziamento per giusta causa

8 Agosto 20160 Commenti-da admin

L’utilizzo della password di un ex collega fa venir meno il rapporto fiduciario: giusto il licenziamento

La fattispecie decisa dalla Suprema Corte nella sentenza n. 12337 del 15 giugno 2016 concerne il licenziamento per giusta causa di un lavoratore che aveva utilizzato le credenziali del precedente direttore di filiale per accedere al terminale in uso allo stesso e interrogato la banca dati per ottenere informazioni su soggetti o imprese, specificamente indicati, non collegate ad esigenze di servizio.

La Cassazione, dopo aver ribadito che la giusta causa di licenziamento, così come il giustificato motivo, “costituiscono una nozione che la legge – allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo – configura con disposizioni (ascrivibili alla tipologia delle cosiddette clausole generali) di limitato contenuto, delineanti un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama” ritiene che i fatti addebitati rivestono il carattere di grave violazione degli obblighi del rapporto di lavoro, tale da lederne irrimediabilmente l’elemento fiduciario giacché la delicatezza della funzione attribuita alla dipendente (direttore di filiale) e la possibilità di accesso ai dati personali sensibili di terzi, imponevano “un rigoroso rispetto delle regole e delle disposizioni impartite e la cui violazione era pertanto idonea a determinare il venire meno dell’elemento fiduciario”.

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Giurisprudenza in Giurisprudenza

Licenziamento per giusta causa ed esecuzione di ordini

8 Agosto 20160 Commenti-da admin

Con la sentenza n. 13149 del 24 giugno 2016 la Corte di cassazione esamina l’ipotesi di licenziamento di una lavoratrice per giusta causa, per aver la stessa eseguito materialmente ordini provenienti dal suo responsabile gerarchico atti a realizzare un’operazione truffaldina.

La Corte d’appello di Torino, ricostruita la situazione ambientale in cui erano maturate le condotte ascritte alla lavoratrice, osservava che la dipendente era una mera esecutrice materiale degli ordini, mentre la responsabilità dell’operazione andava ascritta al responsabile della struttura, pertanto visti i condizionamenti ambientali in cui ella operava, non poteva usarsi lo stesso metro sanzionatorio nei confronti di chi aveva espresso l’ordine e di chi lo aveva eseguito.

Per il Giudice di legittimità, invece, “la condotta di un dipendente che esegua ordini provenienti dal responsabile gerarchico, che integrino violazioni dolose di leggi e doveri d’ufficio, ponendosi in una posizione di acritica obbedienza, non può essere valutato quale mero errore frutto di leggerezza né tale condotta può essere giustificata dal condizionamento ambientale in cui il dipendente si trovava ad operare. Le gravi e reiterate violazioni di legge sono invece idonee ad integrare un’insanabile rottura del vincolo fiduciario e costituiscono giusta causa di licenziamento poiché contrarie al disposto dell’art. 2104 c.c. che, nel prescrivere che il prestatore di lavoro debba osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del rapporto impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende, obbliga lo stesso prestatore ad usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quello superiore della produzione nazionale”.

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Prof.Avv.
Pasqualino Albi

Pasqualino Albi è professore ordinario di diritto del lavoro nel dipartimento di giurisprudenza dell’Università di Pisa e avvocato giuslavorista. È autore di oltre cento pubblicazioni scientifiche in materia di diritto del lavoro, fra le quali tre monografie.

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