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Archivio per categoria: Giurisprudenza

Sulla necessaria differenziazione del periodo di comporto per i lavoratori con disabilità

18 Giugno 2024da Admin2

Cass. civ., sez. lav., ord. 5 giugno 2024, n. 15723

Si consolida l’orientamento della Cassazione secondo cui ha natura indirettamente discriminatoria la previsione del contratto collettivo che stabilisce un identico periodo di comporto per tutti i lavoratori, senza prevedere un regime differenziato per i lavoratori affetti da disabilità e senza adottare accomodamenti ragionevoli.

Nel caso di specie, è stato ritenuto nullo, in quanto indirettamente discriminatorio, il licenziamento per superamento del comporto di una lavoratrice affetta da condizione di disabilità, dal momento che la clausola del contratto collettivo non prevede alcuna differenziazione di trattamento. La Corte ha altresì escluso che la previsione secondo cui ogni dipendente che abbia superato il periodo di comporto può usufruire di un’aspettativa non retribuita pari a sei mesi possa rappresentare un idoneo accomodamento ragionevole. Tale misura, infatti, non compensa il maggior svantaggio del lavoratore disabile.

È certamente possibile, secondo la Corte, fissare un limite massimo di giorni di assenza per malattia del lavoratore disabile, purché tale finalità sia perseguita con mezzi appropriati e necessari, e quindi proporzionati, che tengano in considerazione i rischi di maggiore morbilità dei lavoratori disabili.

https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2018/06/jobs-3.jpg 384 575 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22024-06-18 13:10:462024-06-18 13:10:46Sulla necessaria differenziazione del periodo di comporto per i lavoratori con disabilità
Giurisprudenza in Giurisprudenza

Percezione della NASpI e attività di lavoro autonomo

22 Maggio 2024da Admin2

Cass. civ., sez. lav., ord. 30 aprile 2024, n. 11543

Secondo la Cassazione, il percettore di NASpI deve dichiarare lo svolgimento di attività di lavoro autonomo anche se queste sono già avviate al momento della presentazione della domanda.

I giudici di merito avevano affermato il diritto del ricorrente alla corresponsione della NASpI che gli era stata negata dall’INPS sul presupposto che egli non aveva comunicato entro trenta giorni dalla data della domanda lo svolgimento di un’attività di lavoro autonomo e il relativo reddito percepito. I giudici, infatti, ritenevano che l’art. 10 del d.lgs. 22/2015, che impone a pena di decadenza dal trattamento la comunicazione dello svolgimento di attività di lavoro autonomo in costanza di percezione della NASpI, riguardi soltanto i casi in cui l’attività lavorativa autonoma è avviata – intrapresa, secondo il lessico della disposizione – successivamente alla concessione della prestazione previdenziale.

Al contrario secondo la Cassazione, che ha accolto il ricorso dell’ente previdenziale, la disposizione correla la decadenza dal trattamento all’omessa comunicazione della contemporaneità fra il godimento della NASpI e lo svolgimento di un’attività autonoma da cui possa derivare un reddito, a nulla rilevando il fatto che l’attività sia intrapresa prima o dopo l’inizio della percezione della prestazione: il caso dell’attività avviata in precedenza deve ritenersi implicitamente considerato dalla disposizione che, impiegando il verbo «intraprendere», minus dixit quam voluit.

https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2020/01/Lottemperanza-al-giudicato.-La-giustizia-nellamministrazione-707x354-1.jpg 354 707 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22024-05-22 08:20:312024-05-22 08:20:31Percezione della NASpI e attività di lavoro autonomo
Giurisprudenza in Giurisprudenza

Lo sciopero «mascherato» da astensione per malattia

22 Maggio 2024da Admin2

Cass. civ., sez. lav., sent. 14 maggio 2024, n. 13181

Fra il 31 dicembre 2014 e il 1° gennaio 2015 un cospicuo numero di addetti della Polizia Municipale di Roma, in ampia percentuale aderenti alle organizzazioni sindacali che stavano promuovendo una serie di vertenze nei confronti del datore, si astenevano dalla prestazione di lavoro esercitando il diritto a fruire di permessi personali o inviando certificati per l’assenza per malattia.

La Commissione di garanzia per lo sciopero nei servizi pubblici essenziali sanzionava le organizzazioni sindacali, ritenendo che dietro l’assenza di massa dei dipendenti si celasse un’astensione concertata dal lavoro promossa da tutte le sigle coinvolte, in violazione delle regole sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali.

La Cassazione, investita del ricorso contro le sanzioni promosso dalle organizzazioni sindacali, ha confermato il ragionamento della Corte di Appello e ha affermato che nell’ambito dei servizi pubblici essenziali costituisce sciopero, soggetto alla disciplina della l. 146/1990, l’astensione dal lavoro che si realizzi, a fini di rivendicazione collettiva, mediante presentazione di certificazioni mediche che, secondo l’accertamento del giudice del merito, risultino fittizie e finalizzate a giustificare solo formalmente la mancata presentazione al lavoro, senza reale fondamento in un sottostante stato patologico, ma in realtà siano da collegare ad uno stato di agitazione volto all’astensione collettiva dal lavoro, nella sostanza proclamato dalle OO.SS. in modo “occulto”.

https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2020/02/domino-di-legno-di-caduta-di-arresto-della-mano-dell-uomo-d-affari-concetto-di-controllo-del-rischio-di-affari-pianificazione-e-strategia-di-rischio-di-affari_44680-118.jpg 417 626 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22024-05-22 08:20:062024-05-22 08:20:06Lo sciopero «mascherato» da astensione per malattia
Giurisprudenza in Giurisprudenza

Il licenziamento del whistleblower

22 Maggio 2024da Admin2

Cass civ., sez. lav., sent. 9 maggio 2024, n. 12688

Sia il Tribunale che la Corte di Appello rigettavano il ricorso di un dirigente pubblico contro il licenziamento per giusta causa intimatogli. Ricorrendo in Cassazione, questi lamentava che i giudici di merito avessero omesso del tutto di esaminare la sussistenza dell’ipotesi di whistleblowing, non avendo tenuto conto del fatto che egli in passato aveva più volte presentato denunce relative alle attività illecite dei vertici aziendali e aveva collaborato nelle conseguenti indagini.

La Corte accoglie le doglianze del ricorrente con un ragionamento in due fasi: innanzitutto, verifica la contraddittorietà della motivazione dei giudici di merito relativamente alla sussistenza della giusta causa di licenziamento. In seguito, ciò che maggiormente interessa, la Corte verifica che i giudici di merito hanno del tutto omesso di valutare, trincerandosi dietro l’asserita esistenza della giusta causa, che il licenziamento potesse costituire una ritorsione ai sensi dell’art. 54-bis del d.lgs. 165/2001. Ricordando che l’accoglimento della domanda volta ad affermare l’illegittimità del provvedimento espulsivo per motivo illecito determinante è subordinata alla verifica che l’intento di vendetta abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà di risolvere il rapporto di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso, dovendosi escludere una valutazione comparativa fra le diverse possibili ragioni del recesso, la Corte censura l’operato dei giudici di merito che hanno trattato atomisticamente le questioni poste dal ricorrente prescindendo da un’opportuna contestualizzazione della vicenda.

https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/11/testata-giurisprudenza.jpg 300 500 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22024-05-22 08:19:052024-05-22 08:19:05Il licenziamento del whistleblower
Giurisprudenza in Giurisprudenza

Part time verticale e lavoro su turni

22 Maggio 2024da Admin2

Cass. civ., sez. lav., ord. 29 aprile 2024, n. 11333

Se un contratto part time verticale è organizzato in turni, questi devono essere individuati nel contratto stesso e non possono essere rimessi a comunicazioni periodiche successive del datore di lavoro dal momento che nel contratto part-time è necessaria l’indicazione della durata della prestazione e della collocazione temporale dell’orario con riferimento al giorno, al mese, all’anno.

Ciò è quanto affermato dalla Cassazione in un caso in cui il contratto di lavoro conteneva solo l’indicazione del numero di ore annuali, giornaliere, di turni e dei mesi nei quali sarebbe stata resa la prestazione. L’articolazione concreta dei turni veniva, invece, comunicata di anno in anno, ritenendo il datore di lavoro applicabile anche ai dipendenti part time la previsione del ccnl applicabile secondo cui al personale turnista i turni possono essere comunicati finanche su base mensile.

La Corte, confermando la decisione di appello, esclude tale ipotesi. La previsione del ccnl può riferirsi soltanto ai turnisti a tempo pieno dal momento che essa contrasta con la ratio protettiva dell’intera disciplina del part time, volta a tutelare la possibilità per il dipendente di organizzare il tempo libero per la cura delle attività familiari e delle eventuali ulteriori attività lavorative. Per lo stesso motivo, anche la previsione dell’art. 5 del d.lgs. 81/2015, secondo cui nel caso in cui il part time sia organizzato su turni l’indicazione specifica dell’orario di lavoro può avvenire anche «mediante rinvio a turni programmati di lavoro articolati su fasce orarie prestabilite» deve essere interpretata nel senso che i turni di lavoro restino indicati per iscritto nel contratto, senza poter essere di volta in volta comunicati al dipendente.

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Giurisprudenza in Giurisprudenza

Sulla nullità del patto di non concorrenza

22 Maggio 2024da Admin2

Cass. civ., sez. lav., ord. 19 aprile 2024, n. 10819

Secondo la Cassazione, è nullo il patto di non concorrenza nell’ambito del quale il datore si riservi di cessare la corresponsione del compenso al dipendente in caso di mutamento di mansioni dello stesso, a fronte del mantenimento in capo a quest’ultimo di tutti gli obblighi derivanti dal patto, fra cui quello al pagamento dell’eventuale penale, per un periodo successivo al mutamento di mansioni.

Tale previsione provoca l’indeterminatezza della clausola che stabilisce il compenso dovuto al dipendente, dal momento che il suo ammontare è rimesso ad una decisione unilaterale e imprevedibile ex ante, assunta dal datore di lavoro, di modificare le sue mansioni.

L’indeterminatezza del compenso è equivalente alla sua mancata previsione e quindi comporta la nullità dell’intero patto ai sensi dell’art. 2125 c.c. dal momento che, contrariamente a quanto ritenuto dal datore ricorrente, il legislatore ha previsto la mancata previsione del compenso o la mancata definizione dell’ambito territoriale di operatività come cause di nullità specifiche del patto di non concorrenza, per le quali è stata effettuata a monte una valutazione di «essenzialità» delle stesse ai fini del patto, tale da escludere la disciplina della nullità parziale di cui all’art. 1419 c.c. e, quindi, rendendo superflua ogni valutazione in merito da parte del giudice.

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Prof.Avv.
Pasqualino Albi

Pasqualino Albi è professore ordinario di diritto del lavoro nel dipartimento di giurisprudenza dell’Università di Pisa e avvocato giuslavorista. È autore di oltre cento pubblicazioni scientifiche in materia di diritto del lavoro, fra le quali tre monografie.

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