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Archivio per categoria: Giurisprudenza

Retribuzione e applicazione di un diverso contratto collettivo

12 Febbraio 2024da Admin2

Trib. Milano, sez. lav., sent. 31/01/2024

Un lavoratore socio di cooperativa, addetto in un appalto di servizi in favore di una nota catena di mobilifici con mansione di autista e montatore a domicilio, ricorreva al Tribunale di Milano per vedersi riconoscere il diritto al superiore trattamento retributivo previsto dal Ccnl della Logistica in luogo di quello del Ccnl Multiservizi, applicato dalla cooperativa. Il Tribunale ripercorre la normativa in materia: a norma dell’art. 3, co. 1, l. 142/2001, «le società cooperative sono tenute a corrispondere al socio lavoratore un trattamento economico complessivo proporzionato alla quantità e qualità del lavoro 6 prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine»; il d.l. 248/2007 specifica che «in presenza di una pluralità di contratti collettivi della medesima categoria, le società cooperative che svolgono attività ricomprese nell’ambito di applicazione di quei contratti di categoria applicano ai propri soci lavoratori, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, della legge 3 aprile 2001, n. 142, i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria».

Sulla base delle disposizioni citate il Tribunale, attraverso il confronto fra gli ambiti di applicazione dei Ccnl, l’oggetto sociale della cooperativa, l’oggetto del contratto di appalto e le mansioni svolte dal ricorrente, ha accertato che il Ccnl di riferimento ai sensi dell’art. 3, co. 1, l. 142/2001 non poteva essere il Multiservizi bensì quello della Logistica, assai più attinente. Di conseguenza, sono state riconosciute al ricorrente le differenze retributive maturate in base al corretto inquadramento nel Ccnl Logistica.

 

https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2015/05/orientamentolavoro.jpg 400 640 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22024-02-12 10:17:252024-02-12 10:17:25Retribuzione e applicazione di un diverso contratto collettivo
Giurisprudenza in Giurisprudenza

Sul secondo licenziamento

12 Febbraio 2024da Admin2

Cass. civ.. sez. lav., sent. 23/01/2024, n. 2274

La Cassazione è tornata sul complesso tema della successione di provvedimenti espulsivi. La vicenda processuale riguardava un caso nel quale un primo licenziamento disciplinare era stato ritenuto legittimo dal Tribunale ed un secondo, viceversa, era stato ritenuto ingiustificato.

La Cassazione ha ribadito il proprio orientamento in base al quale è legittima l’intimazione di due licenziamenti in successione, fondati su diverse cause o motivi. Il secondo licenziamento è autonomo e distinto rispetto al primo, ed è originariamente privo di effetti, diventando efficace solo nel caso in cui il licenziamento precedente venga riconosciuto invalido o inefficace. Nell’occasione, la Corte ha però precisato alcuni punti relativi ai rapporti fra i due provvedimenti espu

I rapporti fra i due licenziamenti intimati in successione sono di reciproca autonomia, benché con un nesso di diritto sostanziale che comporta l’inefficacia del secondo licenziamento fin al momento in cui il primo, eventualmente, non sia caducato. Ma l’efficacia del secondo licenziamento è definita in modo stabile soltanto quando sul primo licenziamento si sia formata l’efficacia di giudicato: ciò comporta che il giudice del merito non può esimersi dal pronunciarsi sull’efficacia del secondo licenziamento, in assenza di giudicato rispetto al primo. Per questo, aveva sbagliato la Corte d’Appello a rigettare il ricorso del datore di lavoro avverso la sentenza che aveva ritenuto il secondo licenziamento illegittimo dal momento che questo avrebbe ancora potuto diventare efficace, in seguito all’annullamento del primo.

https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2018/05/Lottemperanza-al-giudicato.-La-giustizia-nellamministrazione.jpg 640 1280 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22024-02-12 10:16:582024-02-12 10:16:58Sul secondo licenziamento
Giurisprudenza in Giurisprudenza

Licenziamento della lavoratrice in maternità: il requisito della colpa grave

12 Febbraio 2024da Admin2

Cass. civ., sez. lav., ord. 20/12/2023, n. 35617

All’esito di un giudizio nei confronti del datore di lavoro per un credito manifestamente insussistente, una lavoratice veniva condannata per lite temeraria. Il datore di lavoro licenziava la dipendente, anche se quest’ultima si trovava in maternità, ritenendo che il suo comportamento integrasse la nozione di «colpa grave» ex art. 54, d.lgs. 151/2001, necessaria per l’eccezione al divieto di licenziamento della lavoratrice in maternità. Impugnato il licenziamento, viceversa, i giudici di merito lo annullavano. La Cassazione ha confermato la decisione.

Il principio affermato dalla Corte è che la «colpa grave» prevista dall’art. 54 del d.lgs. 151/2001, come eccezione al divieto di licenziamento delle gestanti e delle lavoratrici madri, configura un’ipotesi di colpa qualificata rispetto agli schemi previsti dal Codice civile e dalla contrattazione collettiva come giusta causa di licenziamento. È onere del datore di lavoro provare che sussista tale particolare colpa specificata dalla disposizione, connotata dalla «gravità», che deve essere verificata tenendo conto del comportamento complessivo della lavoratrice.

https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2020/02/pexels-photo-755028.jpeg 333 500 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22024-02-12 10:16:422024-02-12 10:16:42Licenziamento della lavoratrice in maternità: il requisito della colpa grave
licenziamento
Giurisprudenza in Giurisprudenza

Il licenziamento del dipendente che lavora altrove durante la malattia

12 Febbraio 2024da Admin2

Cass. civ., sez. lav., ord. 15/01/2024, n. 1472.

Una recente ordinanza della Cassazione si connette a quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui il comportamento del lavoratore che, durante la sospensione del rapporto per causa di malattia, svolge diversa attività lavorativa, potenzialmente tale da ritardare la guarigione, legittima il licenziamento disciplinare.

Il lavoratore subordinato in malattia ha l’obbligo contrattuale di osservare tutte le cautele, comprese quelle terapeutiche e di riposo prescritte dal medico, atte a non pregiudicare il recupero delle energie lavorative temporaneamente minate dall’infermità. La mancata prestazione del rapporto durante la malattia è tutelata dall’ordinamento giuridico e dalla contrattazione collettiva nella misura in cui essa non sia imputabile a condotte volontarie del lavoratore stesso, le cui scelte mettano in pericolo l’adempimento dell’obbligazione di lavoro per la possibile o probabile protrazione dello stato di malattia.

La Cassazione ha inoltre confermato che, ai fini della verifica della contrarietà ai doveri contrattuali del comportamento del dipendente, si deve ritenere che lo svolgimento di lavoro in malattia costituisce illecito di pericolo, e non di danno: ciò comporta che sia irrilevante che, concretamente, sia poi stato ripresa tempestivamente l’attività lavorativa. Il giudice dovrà piuttosto effettuare una valutazione di tipo prognostico, eventualmente con l’ausilio di consulenza medico-legale, avente ad oggetto la potenzialità del pregiudizio ovvero l’idoneità della condotta a ritardare la guarigione.

 

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Giurisprudenza in Giurisprudenza

Sezioni Unite: la prescrizione dei crediti da lavoro decorre in costanza di rapporto nel lavoro pubblico

16 Gennaio 2024da Admin2

Cass. civ., Sez. Un., sent. 28/12/2023, n. 36197

Le Sezione Unite della Cassazione sono state investite della questione della decorrenza o meno, in costanza di rapporto, dei crediti retributivi dei dipendenti pubblici contrattualizzati la quale, secondo la rimettente Sezione lavoro, sarebbe rimessa in discussione in seguito alla riduzione dell’area della stabilità del rapporto provocata dalla riforma dell’art. 18, con la quale sono stati ridimensionati i confini dell’applicazione della tutela reintegratoria in caso di licenziamento illegittimo (con la sent. 26246/2022 la Cass. ha affermato che la prescrizione è sospesa in costanza di rapporto per tutti i diritti non prescritti al momento della riforma del 2012).

Le Sezioni Unite ritengono di dare continuità ai precedenti orientamenti in materia di prescrizione dei crediti retributivi dei pubblici dipendenti e, pertanto, affermano che la prescrizione decorre in costanza di rapporto, dovendo essere negata una piena parificazione dei rapporti di lavoro privato e di lavoro pubblico contrattualizzato. Innanzitutto, le Sezioni Unite ricordano che le modifiche all’art. 18 non sono state ritenute applicabili ai dipendenti pubblici e che per essi la reintegrazione è tuttora prevista anche dall’art. 21 del d.lgs. 75/2017, il quale si limita a fissare un tetto di 24 mensilità di retribuzione all’indennità risarcitoria. Soprattutto, le Sezioni Unite ritengono che nei confronti della Pubblica Amministrazione non sia configurabile la condizione di metus, cioè di timore, nei confronti del datore di lavoro. L’azione delle amministrazioni, infatti, è vincolata al rispetto dei principi costituzionali e della legge, il che comporta un sistema di garanzie e bilanciamento fra interessi, orientato al perseguimento di quello prioritario generale.

Per quanto riguarda in particolare la condizione del dipendente pubblico con contratti a tempo determinato illegittimamente reiterati prima della stabilizzazione, oggetto del caso all’esame della Corte, le Sezioni Unite affermano che rispetto al mancato rinnovo del contratto di lavoro non è configurabile un metus in senso stretto bensì una mera apprensione di fatto, giuridicamente irrilevante.

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Giurisprudenza in Giurisprudenza

Licenziamento della lavoratrice madre: la cessazione dell’attività aziendale deve essere «sostanziale»

16 Gennaio 2024da Admin2

Cass. civ., sez. lav., ord. 19/12/2023, n. 35527

In un caso relativo alla nullità del licenziamento intimato da una società cooperativa dichiarata fallita ad una lavoratrice madre, entro l’anno dalla nascita del figlio, la Cassazione ha precisato i confini dell’eccezione al divieto di licenziamento della lavoratrice in stato di gravidanza e della lavoratrice madre, prevista dalla lettera b) del co. 3 dell’art. 54, d.lgs. 151/2001, secondo cui il divieto di licenziamento non si applica nel caso «di cessazione dell’attività dell’azienda». Secondo la difesa della società, nella fattispecie doveva essere ricompreso il caso in cui l’esercizio provvisorio non sia stato disposto con la sentenza dichiarativa del fallimento o successivamente autorizzato, anche in un contesto in cui le attività di liquidazione ancora non sono iniziate e anzi sono in corso attività conservative in funzione di trasferimento a terzi dell’azienda.

La Cassazione ha disatteso questa opinione, affermando al contrario che, in materia, deve prevalere una nozione sostanziale – “naturalistica” – e non formale della cessazione dell’attività aziendale. Infatti la deroga al generale divieto di licenziamento della lavoratrice madre, prevista dalla lettera b) citata, non può essere interpretata in senso estensivo e pertanto, dal suo ambito di operatività deve essere esclusa ogni possibilità che comporti, in qualche modo, la continuazione dell’impresa, a qualsiasi titolo.

La Cassazione ha, quindi, confermato la nullità del licenziamento acclarata dai giudici di merito.

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Prof.Avv.
Pasqualino Albi

Pasqualino Albi è professore ordinario di diritto del lavoro nel dipartimento di giurisprudenza dell’Università di Pisa e avvocato giuslavorista. È autore di oltre cento pubblicazioni scientifiche in materia di diritto del lavoro, fra le quali tre monografie.

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