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Archivio per categoria: Giurisprudenza

Obbligo di repêchage e ius variandi del datore di lavoro

13 Dicembre 2023da Admin2

Cass. civ., sez. lav., ord. 13/11/2023, n. 31561

Una recente ordinanza della Cassazione in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo valorizza il collegamento fra adempimento dell’obbligo di repêchage ed esercizio dello ius variandi datoriale, attualmente regolato dall’art. 2103 c.c. nel senso che esiste un potere unilaterale del datore di lavoro di adibire il dipendente in mansioni di pari livello, secondo gli inquadramenti previsti dalla contrattazione collettiva, e categoria legale di inquadramento.

Nel caso di specie, la Cassazione ha ritenuto che il datore di lavoro non avesse provato che la dipendente licenziata non possedesse le competenze necessarie per essere adibita alle mansioni per le quali, successivamente al licenziamento, c’erano state assunzioni, fra cui alcune per profili rientranti nello stesso livello di inquadramento contrattuale. In particolare, la Corte ha affermato che nel contesto dell’attuale formulazione dell’art. 2103 c.c. il riferimento ai livelli di inquadramento predisposti dalla contrattazione collettiva non è indifferente per la valutazione dell’adempimento del repêchage, bensì costituisce un elemento che il giudice deve valutare per accertare che il dipendente licenziato fosse o meno in grado di espletare le mansioni di chi è stato assunto ex novo.

Rimane fermo il limite all’obbligo di repêchage rappresentato dal fatto che il dipendente licenziato non possedesse le competenze e l’esperienza professionale necessarie per le diverse mansioni possibili, che deve però essere verificato sulla base di circostanze oggettivamente verificabili, addotte dal datore.

La decisione è reperibile su www.italgiure.giustizia.it

https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2020/06/240_F_155163658_Uvlk9pGR7vrKFXxS1NdpO31FO8odKDKe.jpg 240 361 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22023-12-13 21:49:262023-12-13 21:56:03Obbligo di repêchage e ius variandi del datore di lavoro
Giurisprudenza in Giurisprudenza

Sui simboli religiosi nei luoghi di lavoro

13 Dicembre 2023da Admin2

Corte di Giustizia UE, Grande Sezione, sentenza 28/11/2023 (C-148/22)

La Corte di Giustizia è stata chiamata a decidere se la norma interna di un’amministrazione pubblica che imponga una politica di «neutralità assoluta», cioè il divieto per i dipendenti di indossare segni visibili idonei a rivelare le proprie convinzioni filosofiche o religiose, a prescindere dal contatto con il pubblico, sia compatibile con la direttiva 2000/78/CE, che sancisce il divieto di discriminazioni dirette o indirette sui luoghi di lavoro per motivi religiosi (il caso riguarda la dipendente di un comune belga, che lavora in back office, alla quale è stato vietato di indossare il velo islamico).

Innanzitutto, la Corte ha affermato che non sussiste discriminazione diretta se il divieto riguarda indifferentemente qualsiasi manifestazione di convinzioni religiose e se tratta in maniera identica tutti i dipendenti dell’impresa.

Invece, per quanto riguarda la possibile discriminazione indiretta – che ricorre quando una norma apparentemente neutra comporti un particolare svantaggio per determinate categorie di persone – la Corte ha ricordato che le differenze di trattamento basate sulla religione sono giustificate ai sensi della direttiva quando sono sorrette da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari.

Il perseguimento di una politica di «neutralità assoluta» da parte delle amministrazioni in via di principio può essere considerato una «finalità legittima», dal momento che compete a ciascuno Stato membro di definire il punto di equilibrio fra libertà di manifestazione del sentimento religioso e principio di neutralità della pubblica amministrazione. Per quanto riguarda l’appropriatezza e la necessità dei mezzi, invece, la Corte ha indicato al giudice nazionale di verificare che le misure siano limitate allo stretto necessario per il perseguimento della «politica di neutralità» e, soprattutto, che questa sia perseguita in modo coerente e sistematico: questa condizione non sarebbe rispettata qualora, ad esempio, simboli religiosi diversi, meno vistosi ma pur sempre visibili, venissero tollerati.

https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/11/testata-giurisprudenza.jpg 300 500 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22023-12-13 21:47:492023-12-13 21:59:23Sui simboli religiosi nei luoghi di lavoro
Giurisprudenza in Giurisprudenza

Discriminazioni di genere e progressioni di carriera nella polizia penitenziaria

13 Dicembre 2023da Admin2

Corte costituzionale, sent. 04/12/2023, n. 211

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 211 del 4 dicembre, si è pronunciata sulla discriminazione di genere contenuta in alcune disposizioni dell’Ordinamento del personale della Polizia penitenziaria, ritenute dal giudice a quo (il Consiglio di Stato) contrastanti con gli artt. 3, 31, 37 e 117, co. 1, della Costituzione, in quanto tali da penalizzare le lavoratrici donne nell’accesso alla progressione di carriera, in relazione alla maternità.

Le disposizioni in questione, cioè gli artt. 27, co. 2 e 28, co. 4 del d.lgs. 443/1992, riguardano l’accesso alla qualifica di vice ispettore della Polizia penitenziaria. Alla qualifica si accede tramite concorso, i vincitori del quale sono nominati allievi ispettore e devono frequentare un corso di formazione al termine del quale gli allievi che abbiano superato gli esami e le prove pratiche sono immessi in ruolo.

Le disposizioni al vaglio della Consulta prevedono la dimissione dal corso per le lavoratrici assenti per maternità, con diritto di partecipare al primo corso successivo ai periodi di assenza dal lavoro. Al termine del corso, la nomina a vice ispettore e l’immissione in ruolo decorrono in relazione al corso al quale la lavoratrice ha potuto partecipare e non a quello per il quale originariamente era risultata vincitrice.

Secondo la Consulta, tale previsione contrasta con i sopra citati parametri di costituzionalità nella parte in cui non prevede la retrodatazione degli effetti giuridici della nomina alla stessa data di decorrenza attribuita agli idonei del corso di formazione originario. La posticipazione dell’immissione in ruolo comporta, infatti, il ritardo nella progressione di carriera e una definitiva perdita di chances rispetto agli altri vincitori del medesimo concorso.

Il diritto fondamentale alla parità di trattamento è violato dalle norme in questione dal momento che esso non risulta adeguatamente garantito dal solo riconoscimento del diritto a partecipare a un corso di formazione organizzato in una data successiva e incerta: l’amministrazione, infatti, non è tenuta ad attivare tale corso secondo scadenze prestabilite e, nel caso a quo, erano passati ben 12 anni prima dell’attivazione di un nuovo corso.

https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2020/01/Lottemperanza-al-giudicato.-La-giustizia-nellamministrazione-707x354-1.jpg 354 707 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22023-12-13 21:47:322023-12-13 21:56:40Discriminazioni di genere e progressioni di carriera nella polizia penitenziaria
Giurisprudenza in Giurisprudenza

Il «periodo di guardia» è orario di lavoro ma non necessariamente lavoro straordinario

27 Novembre 2023da Admin2

Cass. civ., Sez. lavoro, 22/11/2023, n. 32418

La Corte di Cassazione è recentemente intervenuta sul tema delle modalità con cui possono essere retribuiti i c.d. «periodi di guardia». Il caso di specie riguardava la domanda di riconoscimento alla maggiorazione retributiva per lavoro straordinario relativamente ai «periodi di guardia» svolti dai vigili del fuoco di una base militare, tenuti a pernottare in locali del luogo di lavoro per garantire il pronto intervento in caso di emergenza.

La Corte ribadisce che i «periodi di guardia», se organizzati in modo che per la loro durata il lavoratore non può dedicarsi liberamente ai propri interessi personali e sociali, devono essere considerati «orario di lavoro» ai sensi della normativa europea (direttiva 2003/88/CE), come interpretata dalla Corte di giustizia. Tuttavia la stessa normativa non osta a che i periodi di guardia, dal punto di vista retributivo, vengano presi in considerazione in maniera differente rispetto ai periodi nei quali viene svolto lavoro effettivo.

Di conseguenza se, come nel caso all’esame della Corte, il contratto collettivo applicabile ai rapporti di lavoro prevede la retribuzione di tali periodi di lavoro con «indennità di pernottamento», anziché con la maggiorazione per lavoro straordinario, ciò non contrasta con la disciplina europea e nazionale in materia di orario di lavoro.

La decisione è reperibile su www.italgiure.giustizia.it

 

 

https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2020/01/Lottemperanza-al-giudicato.-La-giustizia-nellamministrazione-707x354-1.jpg 354 707 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22023-11-27 19:12:232023-11-28 08:58:04Il «periodo di guardia» è orario di lavoro ma non necessariamente lavoro straordinario
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Giurisprudenza in Giurisprudenza

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo e repêchage: ancora sull’onere della prova

27 Novembre 2023da Admin2

Cass. civ., sez. lavoro, ord. 13/11/2023, n. 31451

Una recente ordinanza della Cassazione ripercorre la giurisprudenza della Corte in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo e puntualizza il contenuto dell’obbligo datoriale c.d. di «repêchage», cioè della necessaria verifica, prima di intimare il licenziamento, della presenza di posizioni nell’organizzazione aziendale presso le quali il lavoratore potrebbe essere ricollocato evitando il licenziamento.

Il principio consolidato in tema, ribadito dalla Corte, è che la possibilità di ricollocare il dipendente in posizioni aziendali alternative debba essere verificata dal datore non solo con riferimento a posizioni equivalenti a quella prima occupata o appartenenti al livello di inquadramento immediatamente inferiore, ma anche proponendo al dipendente il demansionamento, che il dipendente è libero di accettare o rifiutare, in questo caso esponendosi all’eventualità del licenziamento.

Secondo la Corte, il limite dell’obbligo di repêchage è costituito dal fatto che il licenziando non abbia le capacità professionali per occupare la diversa posizione di lavoro: ma ciò deve risultare da circostanze oggettive e verificabili, dal momento che diversamente la valutazione operata dal datore di lavoro rimarrebbe del tutto insindacabile.

Infine, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, la Cassazione ribadisce che l’inadempimento dell’obbligo di repêchage equivale a «insussistenza del fatto» posto a base del licenziamento e, pertanto, comporta l’applicazione della tutela reintegratoria, come previsto dall’art. 18, co. 7, l. 300/1970, nella formulazione risultante dalle recenti sentenze della Corte costituzionale (n. 125/2022 e n. 59/2021).

La decisione è reperibile su www.italgiure.giustizia.it

 

 

 

https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2017/11/pexels-photo-207924-2.jpeg 3205 5717 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22023-11-27 19:11:322023-11-28 08:53:49Licenziamento per giustificato motivo oggettivo e repêchage: ancora sull'onere della prova
Giurisprudenza in Giurisprudenza

Il licenziamento intimato dal datore di lavoro apparente

27 Novembre 2023da Admin2

Il licenziamento intimato dal datore di lavoro apparente non produce effetto sul rapporto di lavoro instaurato con il datore di lavoro sostanziale

Quali effetti subisce il rapporto di lavoro instaurato con il datore di lavoro sostanziale nel caso in cui venga intimato il licenziamento dal datore di lavoro «apparente» (somministratore irregolare, appaltatore fittizio)? La Cassazione ha recentemente chiarito alcuni profili controversi.

La materia è attualmente disciplinata dall’art. 38, co. 3, del d.lgs. 81/2015, che prevede che gli atti di costituzione e gestione del rapporto compiuti o ricevuti dal somministratore irregolare si intendono compiuti dall’utilizzatore della prestazione. La disposizione riproduce testualmente, con piccole variazioni, quanto originariamente previsto dall’abrogato art. 27 del d.lgs. 276/2003.

Alcuni orientamenti, in sede di prima applicazione, avevano ritenuto che anche il licenziamento intimato dal somministratore irregolare producesse effetti nei confronti dell’utilizzatore, con il risultato di gravare il lavoratore dell’onere di impugnare il licenziamento presso quest’ultimo entro i termini di decadenza. Questa prospettiva è stata smentita dall’art. 80-bis del d.l. 34/2020, che ha escluso che il licenziamento dalla nozione di «atti di gestione» prevista dall’art. 38 del d.lgs. 81/2015.

La Cassazione, con alcune recenti decisioni, ha precisato la portata del più recente intervento normativo, affermando che:

  • l’art. 80-bis è norma di interpretazione autentica, quindi applicabile retroattivamente anche a controversie sorte precedentemente alla sua emanazione;
  • I criteri di interpretazione previsti dalla disposizione devono essere seguiti anche se è applicabile ratione temporis l’art. 27 del d.lgs. 276/2003, considerata l’identità di contenuto con l’art. 38 del d.lgs. 81/2015 al quale l’art. 80-bis fa esclusivo riferimento;
  • La disciplina è applicabile non solo alla somministrazione irregolare, ma anche agli appalti fittizi, nonostante l’abrogazione dell’art. 27 d.lgs. 276/2003 al quale l’art. 29, co. 3-bis dello stesso decreto legislativo, in tema di appalti non genuini, fa riferimento.

In definitiva, secondo la Cassazione oggi si deve ritenere che in nessun caso il licenziamento intimato dal datore di lavoro formale può esplicare effetti sul rapporto di lavoro instaurato con il datore di lavoro sostanziale.

Le decisioni sono reperibili su www.italgiure.giustizia.it

 

 

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Prof.Avv.
Pasqualino Albi

Pasqualino Albi è professore ordinario di diritto del lavoro nel dipartimento di giurisprudenza dell’Università di Pisa e avvocato giuslavorista. È autore di oltre cento pubblicazioni scientifiche in materia di diritto del lavoro, fra le quali tre monografie.

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