Con la decisione 11 ottobre 2018 il Tribunale di Bari ha dichiarato illegittimo – per violazione dell’art. 4, comma 3, legge n. 223/1991 – il licenziamento intimato nell’ambito di un licenziamento collettivo ad un lavoratore assunto con contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti.
Nell’individuare le conseguenze sanzionatorie derivanti dalla declaratoria di illegittimità, il giudice di merito applica i criteri di quantificazione dell’indennità risarcitoria previsti dal comma 5 dell’art. 18 Statuto, fondando la propria decisione su un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23/2015.
In particolare, il Giudice del Lavoro prende atto della pronuncia della Corte Costituzionale dello scorso 26 settembre che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23/2015 nella parte in cui determina in modo rigido l’indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato.
La pronuncia in esame costituisce una prima “linea di indirizzo”, in attesa di conoscere – secondo le prospettazioni della Corte Costituzionale – i criteri di quantificazione dell’indennità risarcitoria da utilizzare nel caso di licenziamenti illegittimi che ricadono nel campo di applicazione del d.lgs. n. 23/2015.
Licenziamento e indennità risarcitoria
0 Commenti-da adminCon la decisione 11 ottobre 2018 il Tribunale di Bari ha dichiarato illegittimo – per violazione dell’art. 4, comma 3, legge n. 223/1991 – il licenziamento intimato nell’ambito di un licenziamento collettivo ad un lavoratore assunto con contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti.
Nell’individuare le conseguenze sanzionatorie derivanti dalla declaratoria di illegittimità, il giudice di merito applica i criteri di quantificazione dell’indennità risarcitoria previsti dal comma 5 dell’art. 18 Statuto, fondando la propria decisione su un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23/2015.
In particolare, il Giudice del Lavoro prende atto della pronuncia della Corte Costituzionale dello scorso 26 settembre che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23/2015 nella parte in cui determina in modo rigido l’indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato.
La pronuncia in esame costituisce una prima “linea di indirizzo”, in attesa di conoscere – secondo le prospettazioni della Corte Costituzionale – i criteri di quantificazione dell’indennità risarcitoria da utilizzare nel caso di licenziamenti illegittimi che ricadono nel campo di applicazione del d.lgs. n. 23/2015.
Sicurezza nel lavoro e incertezza del giudizio
0 Commenti-da adminIl prossimo 12 ottobre parteciperò al Convegno dedicato al tema della Sicurezza nel lavoro e incertezza del giudizio, nell’ambito dell’8^ edizione del Premio di laurea Giuseppe Lombardi.
L’evento è promosso dal Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università degli Studi di Udine, dall’Ordine degli Avvocati di Udine e dalla Struttura Territoriale di Formazione di Trieste della Scuola Superiore della Magistratura.
L’illegittimità costituzionale delle tutele crescenti
0 Commenti-da adminLa Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23/2015 nella parte in cui individua rigidi criteri di calcolo dell’indennità spettante al lavoratore in caso di licenziamento privo di giusta causa o giustificato motivo.
Secondo quanto anticipato dalla Corte in un comunicato – di seguito allegato – la previsione di un’indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio lavoratore è contraria ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza e si pone in contrasto con il diritto e la tutela del lavoro sanciti dagli articoli 4 e 35 della Costituzione.
La risarcibilità del danno da straining
0 Commenti-da adminCon la decisione 10 luglio 2018, n. 18164 la Corte di Cassazione torna sulla qualificazione giuridica del fenomeno dello straining, aderendo all’orientamento già espresso dallo stesso Collegio, secondo cui è risarcibile, ai sensi dell’art. 2087 c.c., il danno all’integrità psico-fisica causato dall’inadempimento datoriale all’obbligo di sicurezza, non connotato da un intento persecutorio.
Precisa, infatti, la Corte che “lo straining altro non è se non una forma attenuata di mobbing nella quale non si riscontra il carattere della continuità della azioni vessatorie, azioni che, peraltro, ove si rivelino produttive di danno all’integrità psico-fisica del lavoratore, giustificano la pretesa risarcitoria fondata sull’art. 2087 cod. civ., norma di cui da tempo è stata fornita un’interpretazione estensiva costituzionalmente orientata al rispetto di beni essenziali e primari quali sono il diritto alla salute, la dignità umana e i diritti inviolabili della persona, tutelati dagli artt. 32, 41 e 2 Cost.”
Privacy e GPS
0 Commenti-da adminIl provvedimento n. 427 del 19 luglio 2018 del Garante Privacy costituisce una delle prime pronunce in materia di limiti alla rilevazione di dati GPS a seguito dell’entrata in vigore del Regolamento UE 2016/679.
In via generale, il Garante conferma il proprio precedente orientamento, ribadendo che il trattamento effettuato attraverso dispositivi di geolocalizzazione deve necessariamente rispettare i principi di liceità, necessità, pertinenza e non eccedenza.
Nel caso di specie, l’Autorità rileva che la società sottoposta ad accertamenti ispettivi non ha rispettato i summenzionati principi, giacché il servizio di geolocalizzazione utilizzato dalla stessa consentiva di visualizzare in tempo reale la posizione dei veicoli (acquisita dal sistema ogni 120 secondi), il loro stato (fermo/in movimento), la velocità e i dati ulteriori relativi all’utilizzo nel corso della giornata.
Sul piano strettamente giuslavoristico, il Garante sottolinea che la raccolta sistematica dei dati relativi alla posizione dei veicoli e la consultazione delle informazioni messe a disposizione attraverso l’accesso ad una piattaforma web – sia in tempo reale sia attraverso elaborazioni e report conservati per un esteso periodo di tempo (365 giorni) – permette di effettuare il controllo dell’attività dei dipendenti, in violazione della regola generale sancita dall’art. 4 legge n. 300/1970.
Licenziamento collettivo e carichi di famiglia
0 Commenti-da adminCon la decisione 2 agosto 2018, n. 20464 la Corte di Cassazione chiarisce il significato della nozione di carichi di famiglia di cui all’art. 5 della legge n. 223 del 1991.
Il Supremo Collegio richiama la definizione contenuta nell’accordo interconfederale del 1965, secondo cui il criterio dei carichi di famiglia è riconducibile alla situazione economica del lavoratore interessato dalla procedura di mobilità.
Nella sentenza si precisa che tale criterio attribuisce particolare rilevanza alla situazione economica familiare effettiva dei singoli lavoratori, che non può limitarsi alla semplice verifica del numero delle persone a carico da un punto di vista fiscale.
Il riferimento ai carichi di famiglia deve, dunque, essere individuato in relazione al fabbisogno economico determinato dalla situazione familiare e, quindi, dalle persone effettivamente a carico e non da quelle risultanti in relazione ad altri parametri che potrebbero rivelarsi non esaustivi.