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Archivio per categoria: Giurisprudenza

Licenziamento con whatsapp e omessa contestazione disciplinare

17 Dicembre 2025/in Giurisprudenza

Trib. Napoli Nord, 13 novembre 2025

Il Giudice, con riferimento a un licenziamento intimato a mezzo Whatsapp, ha anzitutto riaffermato un orientamento già emerso anche nella giurisprudenza di merito e di legittimità, secondo cui “una comunicazione di licenziamento effettuata tramite una comunicazione di messaggistica telefonica è potenzialmente idonea ad integrare la forma scritta ad substantiam prevista dalla normativa”.

Nel caso di specie il Giudice ha ritenuto che la modalità utilizzata dal datore di lavoro fosse idonea ad assolvere ai requisiti formali in esame, in quanto la volontà di licenziare è stata comunicata per iscritto alla lavoratrice in maniera inequivoca, come del resto dimostra la reazione da subito manifestata dalla predetta parte.

Il Tribunale ha comunque dichiarato la nullità del licenziamento, e ordinato al datore di lavoro di reintegrare il lavoratore licenziato, per l’assenza di una previa contestazione dell’addebito disciplinare posto alla base del licenziamento intimato, rilevando che ciò non integri una semplice deviazione formale dallo schema del procedimento disciplinare, bensì una vera e propria ipotesi di nullità per violazione di una norma imperativa e assistita quindi dalla tutela reintegratoria

https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2025/12/Gemini_Generated_Image_1oqsz31oqsz31oqs1.png 768 768 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22025-12-17 17:27:172025-12-17 17:44:59Licenziamento con whatsapp e omessa contestazione disciplinare

Quota 100, redditi da lavoro e violazione del divieto di cumulabilità

17 Dicembre 2025/in Giurisprudenza

Corte cost. 4 novembre 2025, n. 162

La Corte Costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi su una questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Ravenna in relazione all’art. 14, comma 3, del decreto-legge n. 4/2019 (convertito in legge n. 26/2019), riguardante il divieto di cumulo tra la pensione anticipata “quota 100” e redditi da lavoro dipendente o autonomo.

La Consulta ha rilevato, preliminarmente, che il Tribunale rimettente non ha assolto all’onere di interpretazione costituzionalmente conforme della norma censurata. La Corte ha infatti evidenziato che la disposizione in questione non prevede testualmente le conseguenze della violazione e, quindi, lascia spazio a un’interpretazione conforme ai principi di proporzionalità e ragionevolezza, anche limitando la sospensione del trattamento pensionistico ai soli mesi di effettiva attività lavorativa (e non a un’intera annualità di sospensione a fronte di un solo giorno lavorato, come era il caso del giudizio a quo).

Su tali presupposti, la Corte – nel dichiarare l’inammissibilità delle questioni prospettate – ha rilevato che spetta ai giudici di merito esercitare, in prima istanza, l’attività di interpretazione costituzionalmente conforme.

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Dimissioni per fatti concludenti: tre recenti pronunce

17 Dicembre 2025/in Giurisprudenza

Trib. Milano, 11 novembre 2025

Trib. Bergamo, 9 ottobre 2025

Trib. Ravenna, 11 dicembre 2025

Tre recenti pronunce si sono diversamente orientate sul tema delle c.d. dimissioni per fatti concludenti (o di fatto), per come disciplinate alla luce del recente intervento normativo operato dal c.d. Collegato Lavoro (art. 19, l.n. 203/2024) novellando l’art. 26, d.lgs. 151/2015 e introducendovi un comma 7-bis. Oggetto di diversa soluzione è proprio la possibilità e le modalità con cui fare ricorso alle previsioni del CCNL applicato per risalire al periodo di assenza ingiustificata oltre il quale il rapporto può ritenersi risolto e il datore può avviare la procedura semplificata di cui all’art. 7-bis.

Secondo il Tribunale di Milano, in assenza della previsione di un termine specifico, è legittimo il ricorso al termine rilevante ai fini dell’applicazione della più grave sanzione del licenziamento disciplinare (nel caso di specie pari a 3 giorni, ben inferiore ai 15 giorni previsti dalla legge in assenza di una previsione della contrattazione collettiva, su cui insisteva la lavoratrice soccombente). Secondo i giudici infatti “il legislatore, nel rinviare alla contrattazione collettiva, ha inteso valorizzare la soglia di tolleranza che le stesse parti sociali hanno individuato come critica, ovvero il numero di giorni di assenza la cui gravità è tale da giustificare la sanzione massima della risoluzione del rapporto”. La nuova norma, continuano i giudici “non fa altro che mutare la qualificazione giuridica degli effetti di tale condotta, trasformandola da presupposto per un licenziamento datoriale a fatto concludente che manifesta la volontà del lavoratore di recedere”.

Il Tribunale di Bergamo invece, ritiene non applicabile il termine previsto dal CCNL al fine di legittimare il datore di lavoro alla sanzione del licenziamento per assenza ingiustificata, in quanto tale previsione contrattuale – in assenza di una disciplina specifica in tema di “dimissioni volontarie per assenza ingiustificata” – riguarda un istituto del tutto diverso, ovverosia il licenziamento disciplinare. Il termine ivi previsto ha la funzione di individuare la misura della gravità dell’inadempimento che le parti collettive ritengono sufficiente a rendere intollerabile la prosecuzione del rapporto lavorativo, con conseguente possibilità per il datore di lavoro di procedere alla sanzione disciplinare, con le garanzie procedurali ex l. 300/1970; nel caso disciplinato dall’art. 26, c. 7-bis d.lgs. 151/2015, invece, il termine di 15 giorni previsto dalla legge (o quello diverso e – si deve ritenere, comunque maggiore – stabilito dalla contrattazione collettiva) ha la funzione di individuare la misura in cui il comportamento del lavoratore, che continuativamente non si presenti a rendere la prestazione per la giornata lavorativa, possa generare la presunzione di una volontà del lavoratore di sciogliere il rapporto. Secondo il giudice “è evidente che l’operatività di tale presunzione, peraltro non assistita dalle penetranti garanzie ex l. 300/1970, richieda un termine ben più lungo di quello generalmente previsto dai CCNL ai fini del licenziamento disciplinare, che sia idoneo a rendere inequivocabile il disinteresse del lavoratore alla prosecuzione del rapporto”.

La conclusione del Tribunale di Bergamo è peraltro coerente con quanto già affermato anche dalla circolare n. 6/2025 del Ministero del Lavoro, che non manca di richiamare nella pronuncia (“Per quanto concerne la durata dell’assenza che può determinare la configurazione delle dimissioni per fatti concludenti, l’articolo 19 prevede che la stessa, in mancanza di specifica previsione nel CCNL applicato al rapporto di lavoro, debba essere superiore a quindici giorni. I giorni di assenza, in mancanza di ulteriori specificazioni da parte della norma”).

Nella stessa direzione del Tribunale di Bergamo si è recentemente orientato anche il Tribunale di Ravenna che ha anzitutto rilevato che “la normativa di recente introduzione si rivela […] altamente carente dal punto di vista degli elementi strutturalmente necessari per integrarne la fattispecie”. Il Giudice sottolinea quindi che la nuova normativa non può ricavare una presunzione assoluta di volontà di dimissioni da un comportamento del lavoratore che, per la brevità dell’assenza, si presenta ancora connotato da ambiguità.

La nuova norma infatti ha previsto, in assenza di una diversa disposizione dei CCNL, un termine normativo di almeno 15 giorni di assenza ingiustificata per l’attivazione della presunzione della volontà dimissionaria, bilanciando così i principi di tutela lavoristica e di libertà di impresa. Tale equilibrio tra contrapposti interessi e principi deve quindi ritenersi in grado di dispiegare i propri effetti anche verso la contrattazione collettiva, impedendo così che ai fini del comma 7-bis possano rilevare i termini previsti dai contratti collettivi per l’attivazione della procedura di licenziamento disciplinare “in quanto eccessivamente brevi per poterne indurre, con presunzione legale assoluta, una volontà dimissionaria”. L’intervento della contrattazione collettiva, dovrà quindi passare attraverso la previsione di termini ad hoc sufficientemente ampi per poterne dedurre una volontà inequivoca di dimissioni; a ciò si aggiunge, in coerenza con quanto già osservato, che tali termini non potranno derogare in pejus il termine di 15 giorni – esito del suddetto bilanciamento e parametro di ragionevolezza – previsto dal comma 7-bis.

https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2025/12/2.jpg 492 656 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22025-12-17 07:30:122025-12-18 10:17:00Dimissioni per fatti concludenti: tre recenti pronunce

La disdetta unilaterale del CCNL è antisindacale

17 Dicembre 2025/in Giurisprudenza

Cass. civ., sez. lav., 11 novembre 2025, n. 29737

La Suprema Corte respinge il ricorso proposto da una società che aveva disapplicato il CCNL Metalmeccanici per sostituirlo con il CCNL Terziario per una parte dei propri dipendenti, per il tramite di un “accordo di armonizzazione” sottoscritto con altre sigle sindacali, diverse da quella ricorrente.

La Cassazione ha ribadito l’antisindacalità della condotta della società, qualificata già in primo grado come una disdetta anticipata del pregresso CCNL. Ha in particolare affermato che il datore di lavoro non può unilateralmente disdire un CCNL con scadenza predeterminata, né può sostituirlo con altro contratto collettivo prima della scadenza: secondo un insegnamento consolidato infatti, la facoltà di recesso appartiene esclusivamente alle parti stipulanti originarie, ossia alle associazioni sindacali e datoriali che di norma provvedono anche a disciplinare le conseguenze della disdetta. Non può quindi mai considerarsi legittima la disdetta unilaterale del datore di lavoro del contratto applicato avente un termine di scadenza (mentre diverso è il caso, rimarca la Corte, di contratti collettivi che non abbiano un termine di efficacia). La sostituzione anticipata del CCNL vigente configura, per i suoi effetti, una disdetta unilaterale non consentita, anche se operata tramite un accordo concluso con altre organizzazioni sindacali: e nel caso di specie correttamente è stata ritenuta lesiva dell’immagine del sindacato.

https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2025/12/3.png 1024 1024 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22025-12-17 07:28:122025-12-18 10:06:54La disdetta unilaterale del CCNL è antisindacale

L’inglese come unica lingua per le trattative è antisindacale

17 Dicembre 2025/in Giurisprudenza

Cass. civ., sez. lav., 31 ottobre 2025 n. 28790

La Cassazione conferma la decisione della Corte d’Appello che aveva qualificato come antisindacale la condotta aziendale consistente nel condizionare l’avvio dei negoziati per la costituzione del Comitato Aziendale Europeo (CAE) all’uso esclusivo della lingua inglese, senza la preventiva garanzia di un adeguato servizio di interpretariato.

La Corte chiarisce che, nell’ambito della disciplina dettata dal d.lgs. n. 113/2012 (attuativo della direttiva 2009/38/CE sui CAE), l’impresa è tenuta a mettere la Delegazione Speciale di Negoziazione (DSN) in condizione di svolgere effettivamente il proprio mandato. L’imposizione di una lingua unica, specie in un contesto transnazionale e plurilinguistico, limita in modo oggettivo la capacità di partecipazione e negoziazione dei rappresentanti sindacali e integra una lesione delle prerogative sindacali. La disponibilità dell’azienda a offrire corsi di lingua non è considerata misura adeguata né equivalente al servizio di interpretariato espressamente previsto dalla normativa.

Pur ritenendo astrattamente legittima la modalità di riunione “da remoto” tramite videoconferenza – che costituiva peraltro il punto dirimente della controversia – la Corte sottolinea che l’adeguatezza degli strumenti va valutata in concreto: nel caso di specie, la pretesa dell’uso esclusivo dell’inglese ha costituito un ostacolo illegittimo all’apertura dei negoziati, equiparabile a un rifiuto datoriale. Da ciò discende correttamente la conseguenza della costituzione automatica del CAE ai sensi dell’art. 16, comma 1, d.lgs. n. 113/2012.

https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2025/12/5.png 1024 1024 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22025-12-17 07:27:212025-12-18 10:16:33L’inglese come unica lingua per le trattative è antisindacale

Sulla somministrazione abusiva di lavoro

17 Dicembre 2025/in Giurisprudenza

Cass. civ., sez. lav., 7 novembre 2025 n. 29577

La Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Appello di Brescia che aveva riconosciuto l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra il lavoratore dipendente di un’agenzia di somministrazione e l’impresa utilizzatrice, a causa dell’illegittimo ricorso alla somministrazione a termine (in quanto stato inviato presso quest’ultima in 47 missioni per un totale di 37 mesi per svolgere identiche mansioni, inquadrate nel medesimo livello).

La Suprema Corte ha ritenuto che il superamento del limite massimo di utilizzo del lavoratore tramite somministrazione a tempo determinato di 24 mesi (d.l. 87/2018) comporta la trasformazione del rapporto in capo all’utilizzatore ai sensi dell’art. 38 del d.lgs. 81/2015. Sono stati respinti tutti i motivi della società, confermando la reintegrazione e l’indennità riconosciute al lavoratore, e soprattutto respingendo, nel senso sopra indicato, l’assunto della società utilizzatrice secondo il quale nella somministrazione la regola della trasformazione a tempo indeterminato dopo 24 mesi si applicherebbe unicamente ai contratti a tempo determinato stipulati con l’agenzia di somministrazione. La Corte invece, muovendo anche dallo stretto collegamento negoziale proprio della somministrazione di lavoro, afferma che “la nullità del rapporto di lavoro tra agenzia e lavoratore per superamento del limite di 24 mesi, si propaghi al contratto collegato, tra agenzia e utilizzatore: la conseguenza è il prodursi di una duplice conversione, sul piano soggettivo, potendo il lavoratore chiedere la costituzione del rapporto in capo all’utilizzatore, e su quello oggettivo, atteso che il contratto concluso col somministratore a tempo determinato diventa, con l’utilizzatore, un contratto di lavoro a tempo indeterminato”. La Corte ha affermato che tale interpretazione è coerente con la direttiva 2008/104/CE e con la giurisprudenza della Corte di Giustizia, che impongono di evitare un uso non temporaneo e reiterato della somministrazione.

https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2025/12/6.png 1024 1024 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22025-12-17 07:23:182025-12-17 07:23:18Sulla somministrazione abusiva di lavoro
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Prof.Avv.
Pasqualino Albi

Pasqualino Albi è professore ordinario di diritto del lavoro nel dipartimento di giurisprudenza dell’Università di Pisa e avvocato giuslavorista. È autore di oltre cento pubblicazioni scientifiche in materia di diritto del lavoro, fra le quali tre monografie.

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