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Archivio per categoria: Giurisprudenza

Il quadro deve osservare l’orario di lavoro?

9 Maggio 2025da Admin2

Cass. civ., sez. lav., ord. 06 aprile 2025, n. 9081

La decisione riguarda il caso di un dipendente, con qualifica di quadro, licenziato dopo che la società datrice di lavoro aveva scoperto che, sistematicamente, egli prolungava di un’ora la pausa pranzo oppure anticipava l’uscita dall’azienda. Il dipendente, soccombente in entrambi i gradi di giudizio, ricorreva in Cassazione argomentando che egli non sarebbe stato soggetto all’osservanza dell’orario di lavoro in ragione della deroga espressamente prevista dall’art. 17 del d.lgs. 66/2003 per i dirigenti, il personale direttivo e, comunque, i soggetti dotati di potere decisionale autonomo.

La Cassazione, nel rigettare il motivo e confermare la legittimità del licenziamento, ha ricordato che, a prescindere dall’inquadramento contrattuale come quadro, ai fini dell’applicazione della deroga ricordata conta la sussistenza di una funzione direttiva o di poteri di decisione autonomi in capo al lavoratore, che viceversa il ricorrente non possedeva. D’altra parte, il contratto collettivo applicato al rapporto richiamava espressamente anche la qualifica di quadro per l’osservanza dell’orario giornaliero.

https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2020/03/AdobeStock_101479610-scaled.jpeg 1707 2560 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22025-05-09 10:19:402025-05-09 10:19:40Il quadro deve osservare l’orario di lavoro?
Giurisprudenza in Giurisprudenza

Sul diritto di critica del dipendente che denuncia la mancata applicazione delle norme Anticovid

9 Maggio 2025da Admin2

Cass. civ., sez. lav., ord. 24 aprile 2025, n. 10864

Un dipendente veniva licenziato in seguito ad un acceso scambio epistolare con l’A.D. della società per cui lavorava, avente ad oggetto la ritenuta cattiva applicazione dei protocolli anti-contagio. La Corte di Appello, pur ritenendo sproporzionato il licenziamento, non aveva disposto la reintegrazione del lavoratore perché il suo comportamento aveva comunque rilievo disciplinare, essendosi risolto in un «indebito abuso critico rivolto a una figura di forte rilievo aziendale».

La Cassazione ha invece ritenuto che una corretta applicazione dei principi sul diritto di critica del lavoratore comportasse la piena legittimità del comportamento del dipendente e quindi richiedesse l’applicazione della tutela reintegratoria per insussistenza del fatto contestato. A rilevare, in particolare, era l’omessa verifica, da parte dei giudici di merito, della continenza formale delle espressioni utilizzate dal lavoratore. Posto che la critica è per definizione espressione di dissenso e disapprovazione sull’operato altrui, l’offensività di un’espressione oltrepassa il limite della continenza solo quando è veicolata con epiteti volgari o infamanti o quando è avulsa dall’oggetto della critica. Anche toni accesi, pertanto, quando connessi all’espressione di una critica articolata rispetto alle modalità di gestione del rapporto di lavoro, sono legittimi quando non presentano i caratteri dell’offesa gratuita ed esorbitante rispetto alle motivazioni sostanziali dello scambio.

Inoltre, il fatto che il lavoratore avesse effettuato una segnalazione al Comitato anti-Covid volta a sollecitare una verifica sull’operato dell’A.D., che secondo la Corte di Appello sarebbe stata indicativa della volontà offensiva del ricorrente, al contrario mostrava la convinzione di questi nella bontà delle proprie ragioni. Risultavano pertanto applicabili anche le tutele per il whistleblower previste dal d.lgs. 24/2023.

 

https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2025/05/un-lavoratore-che-critica-il-suo-datore-di-lavoro-che-non-rispetta-la-normativa-anticovid.jpg 832 1472 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22025-05-09 10:18:532025-05-09 10:18:53Sul diritto di critica del dipendente che denuncia la mancata applicazione delle norme Anticovid
Giurisprudenza in Giurisprudenza

Autonomia del patto di non concorrenza e congruità del corrispettivo

9 Maggio 2025da Admin2

Cass. civ., sez. lav., ord. 8 aprile 2025, n. 9256

Il patto di non concorrenza, anche se stipulato contestualmente al contratto di lavoro, è autonomo da questo e trova la sua causa nello scambio fra l’impegno del datore a corrispondere una somma di denaro e l’impegno del lavoratore a non svolgere attività in concorrenza per un periodo determinato successivo alla fine del rapporto di lavoro. Il patto è valido, dal punto di vista del corrispettivo previsto per il lavoratore, se è determinato o determinabile e se non risulta meramente simbolico o manifestamente sproporzionato rispetto al sacrificio richiesto al lavoratore. Queste caratteristiche vengono definite al momento della stipulazione, quindi la congruità del patto di prova deve essere valutata ex ante, cioè alla luce del tenore delle clausole e non per quanto poi in concreto possa accadere: da questo punto di vista, è indifferente che il corrispettivo pattuito sia erogato in costanza di rapporto di lavoro o dopo la cessazione.

Ricordando questi principi, la Cassazione con la decisione in oggetto ha cassato la decisione di Appello secondo cui il compenso previsto per il lavoratore, benché determinabile, era incongruo, avendo egli percepito solo la tranche maturata in costanza di rapporto prima delle dimissioni, effettuate prima della scadenza del periodo per era prevista la corresponsione periodica del corrispettivo. La sentenza di Appello aveva, secondo la S.C., effettuato una commistione fra i profili attinenti alla validità del patto di non concorrenza e quelli relativi alla fase esecutiva. Infatti, l’obbligazione di pagare il corrispettivo era indipendente dalla durata del rapporto di lavoro e l’ex datore aveva smesso di pagarlo non per la fine del rapporto, ma perché aveva scoperto l’inadempimento agli obblighi di non concorrenza.

https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2018/07/pexels-photo-886465.jpeg 1500 2250 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22025-05-09 10:18:332025-05-09 10:18:33Autonomia del patto di non concorrenza e congruità del corrispettivo
Giurisprudenza in Giurisprudenza

Sulle forme di protesta collettiva diverse dallo sciopero

9 Maggio 2025da Admin2

Cass. civ., sez. lav., sent. 11 aprile 2025, n. 9526

Con la sentenza in oggetto, la Cassazione ricorda che lo sciopero, per quanto espressamente tutelato dall’art. 40 della Costituzione, è soltanto una delle possibili manifestazioni dell’autotutela e del conflitto collettivo, protette dall’ordinamento direttamente attraverso la garanzia della libertà sindacale.

Il caso riguardava il licenziamento per insubordinazione di un gruppo di lavoratori, i quali avevano prestato la loro attività secondo la turnazione prevista dal ccnl anziché secondo quella decisa con accordo aziendale, per protestare contro la decisione dell’azienda di mantenere quest’ultima turnazione senza continuare a pagare l’indennità pattuita.

La Corte di Appello, pur riconoscendo il valore di protesta collettiva del contegno dei lavoratori, aveva escluso che potesse trattarsi di sciopero in mancanza di proclamazione da parte del sindacato e di astensione del lavoro, affermando che tale forma di protesta si poneva al di fuori delle forme di autotutela protette dall’ordinamento. Pertanto, i licenziamenti non erano discriminatori e ritorsivi, ma soltanto illeciti in quanto il comportamento non poteva essere qualificato come insubordinazione ma come un illecito disciplinare più lieve, per cui il contratto collettivo prevede una sanzione conservativa.

Era stata quindi applicata la tutela reintegratoria attenuata.

Secondo la Cassazione, invece, pur non potendosi parlare di sciopero in mancanza di astensione dal lavoro, la Corte di Appello aveva errato nel disconoscere la finalità sindacale della protesta, cioè di tutela delle condizioni di lavoro su un piano collettivo, la cui ricorrenza non richiede il coinvolgimento del sindacato. Pertanto, il contegno tenuto dai lavoratori doveva essere protetto come manifestazione di libertà sindacale e i licenziamenti erano nulli perché posti in essere in relazione allo svolgimento di attività sindacale, ai sensi dell’art. 4 della l. n. 604 del 1966.

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Giurisprudenza in Giurisprudenza

Non c’è assenza ingiustificata se il lavoratore non comunica la fruizione dei permessi l. 104/1992

21 Marzo 2025da Admin2

Cass. civ., sez. lav., ord. 3 marzo 2025, n. 5611

Confermando in toto la decisione di Appello, la Cassazione ha disposto la reintegrazione nel posto di lavoro di un lavoratore licenziato per assenza ingiustificata in quanto si era assentato dal lavoro per fruire dei permessi per la cura di un familiare disabile grave previsti dalla legge n. 104/1992 (in particolare, dei permessi aggiuntivi previsti dalla legislazione dell’emergenza Covid) senza comunicarlo formalmente al datore di lavoro. Secondo i giudici di merito e di legittimità, il fatto contestato al lavoratore era insussistente dal momento che il contratto collettivo applicato al rapporto non prevedeva nessun obbligo specifico in relazione alla comunicazione delle assenze per i suddetti permessi, potendosi semmai dedurre un obbligo di correttezza in tal senso, né in nessun modo equiparava la mancata comunicazione dell’assenza alla sua carenza di giustificazione. Pertanto, la condotta per come contestata, cioè l’assenza ingiustificata, era insussistente e il lavoratore doveva essere reintegrato secondo l’art. 3, co. 2, d.lgs. 23/2015.

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Giurisprudenza in Giurisprudenza

Buoni pasto e retribuzione feriale

21 Marzo 2025da Admin2

App. Napoli, sent. 3 marzo 2025, n. 324

La Corte di Appello di Napoli offre un contributo sulla questione delle voci da includere nel computo della retribuzione feriale, decidendo sull’appello di una società, condannata in primo grado al pagamento di differenze retributive, che contestava l’inclusione anche dei buoni pasto fra quelle che incidono sul computo della retribuzione feriale.

La materia è disciplinata dal diritto europeo (direttiva 2003/88). La Corte di giustizia ha chiarito che durante le ferie il lavoratore deve godere, in via di principio, di una retribuzione coincidente con quella ordinaria, in modo da non essere dissuaso dall’esercitare il suo diritto al riposo annuale. Da questa nozione di retribuzione feriale possono essere esclusi solo gli elementi della retribuzione complessiva diretti esclusivamente a coprire spese accessorie che sopravvengano in occasione dell’espletamento delle mansioni.

Sulla base di tali indicazioni europee e di precedenti di Cassazione, secondo la Corte di Appello i buoni pasto, a differenza dell’indennità di mensa, generalmente non fanno parte della retribuzione normale, rappresentando al contrario un benefit accessorio. Dal momento che l’inclusione fra le voci da conteggiare per la retribuzione feriale non poteva desumersi nemmeno dagli accordi aziendali, la Corte ha accolto l’appello del datore e ricalcolato le somme dovute ai dipendenti.

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Prof.Avv.
Pasqualino Albi

Pasqualino Albi è professore ordinario di diritto del lavoro nel dipartimento di giurisprudenza dell’Università di Pisa e avvocato giuslavorista. È autore di oltre cento pubblicazioni scientifiche in materia di diritto del lavoro, fra le quali tre monografie.

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