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Archivio per categoria: Giurisprudenza

Mobbing e responsabilità del datore per l’ambiente di lavoro stressogeno

20 Febbraio 2024da Admin2

Cass. civ., sez. lav., ord. 12 febbraio 2024 n. 3822 e 3791

Due recenti ordinanze della Cassazione esprimono principi rilevanti in tema di prova del mobbing e obbligo del datore di lavoro di tutelare il prestatore nei confronti di un ambiente di lavoro stressogeno.

Per quanto riguarda il primo profilo, la Corte ricorda che ai fini della valutazione della sussistenza del mobbing il giudice deve effettuare una valutazione complessiva dei fatti che consenta di affermare o negare la presenza di un intento persecutorio da parte del datore di lavoro, il cui onere della prova è a carico di chi assume di aver subito la condotta vessatoria. Per converso, ha rilievo secondario la legittimità o illegittimità dei singoli comportamenti adottati dal datore: «così come una pluralità di comportamenti illegittimi non implica, di per sé, il mobbing, allo stesso modo la legittimità di ogni singolo comportamento non esclude l’intento vessatorio». La legittimità dei comportamenti può rilevare solo come elemento sintomatico dell’assenza dell’elemento soggettivo rispetto alla condotta mobbizzante considerata in modo unitario.

Per quanto riguarda il secondo profilo, la Corte ha ribadito che la riscontrata assenza degli estremi del mobbing non fa venire meno la necessità di valutare e accertare l’eventuale responsabilità del datore di lavoro per aver colposamente omesso di impedire che le condizioni stressogene dell’ambiente di lavoro causassero un danno alla salute del prestatore di lavoro. Infatti, rientra nell’ambito della posizione di garanzia, assunta dal datore di lavoro ex art. 2087 c.c., l’obbligo di adottare tutte le misure e gli accorgimenti necessari a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro contro i danni che possono essere provocati da condizioni ambientali lavorative lesive della salute, quale può essere un contesto lavorativo stressogeno e conflittuale.

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Giurisprudenza in Giurisprudenza

Diritto alle ferie e comporto per malattia

12 Febbraio 2024da Admin2

Cass. civ., sez. lav., ord. 08/01/2024, n. 582

Il caso di un lavoratore che era stato licenziato per superamento del periodo di comporto, nonostante  avesse richiesto di godere delle ferie durante l’assenza per malattia, ha rappresentato l’occasione, per la Cassazione, di ricapitolare i propri orientamenti in materia. Confermando le decisioni di merito che avevano ritenuto illegittimo il licenziamento, la Cassazione ricorda che già con la sentenza della Corte costituzionale 616/1987, che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 2109 c.c. nella parte in cui prevede che la malattia intervenuta durante le ferie ne interrompa il decorso, è stato affermato il principio della «conversione delle cause di assenza dal lavoro», il quale comporta la possibilità di mutamento del titolo dell’assenza dal lavoro in altro che presupponga una diversa giustificazione.

L’applicazione del principio comporta che il periodo di comporto possa essere interrotto dalla richiesta del lavoratore di godere del periodo feriale, che il datore deve concedere anche in costanza di malattia, attesa la garanzia costituzionale del diritto alle ferie e l’interesse del lavoratore a sospendere la decorrenza del periodo di comporto.

https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2020/02/calendar-pages-close-up-business-time-concept_93675-32582.jpg 417 626 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22024-02-12 10:17:572024-02-12 10:17:57Diritto alle ferie e comporto per malattia
Giurisprudenza in Giurisprudenza

Sulle conciliazioni in sede protetta

12 Febbraio 2024da Admin2

Cass. civ., sez. lav., sent. 18/01/2024, n. 1975

Una pronuncia recente della Cassazione, avente ad oggetto la domanda di accertamento della nullità di una conciliazione sindacale, fa il punto su alcune questioni legate alla validità di tale atto ai sensi degli artt. 2113 c.c.

Si segnalano due questioni di particolare interesse.

Anzitutto, la Cassazione ricorda che la firma nella «sede protetta» non è requisito formale della conciliazione ma solo funzionale ad assicurare l’esercizio di una volontà dispositiva libera da condizionamenti. Se la conciliazione è avvenuta al di fuori delle sedi protette, può comunque essere provato che, grazie all’effettiva assistenza sindacale, il lavoratore si è autodeterminato consapevolmente e liberamente, con onere della prova a carico del datore. Quasi inutile notare che una siffatta prova può rivelarsi particolamente complessa.

In secondo luogo, la Cassazione nega la circostanza che il mandato al rappresentante sindacale conferito soltanto contestualmente alla stipula della conciliazione sia di per sé tale da inficiare la validità dell’atto, non essendo previsto dal legislatore che il mandato al rappresentante sindacale sia anteriore. La contestualità del mandato rispetto alla stipula potrebbe, peraltro, costituire un indizio circa la non effettività dell’assistenza sindacale, che tuttavia deve essere corroborato da altri elementi indiziari per integrare la prova presuntiva di tale vizio (a norma dell’art. 2729 c.c.). L’onere della prova, in questo caso, grava sul lavoratore e, nel caso di specie, non risultava adempiuto.

https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2018/02/pexels-photo-261658.jpeg 650 867 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22024-02-12 10:17:432024-02-12 10:17:43Sulle conciliazioni in sede protetta
Giurisprudenza in Giurisprudenza

Retribuzione e applicazione di un diverso contratto collettivo

12 Febbraio 2024da Admin2

Trib. Milano, sez. lav., sent. 31/01/2024

Un lavoratore socio di cooperativa, addetto in un appalto di servizi in favore di una nota catena di mobilifici con mansione di autista e montatore a domicilio, ricorreva al Tribunale di Milano per vedersi riconoscere il diritto al superiore trattamento retributivo previsto dal Ccnl della Logistica in luogo di quello del Ccnl Multiservizi, applicato dalla cooperativa. Il Tribunale ripercorre la normativa in materia: a norma dell’art. 3, co. 1, l. 142/2001, «le società cooperative sono tenute a corrispondere al socio lavoratore un trattamento economico complessivo proporzionato alla quantità e qualità del lavoro 6 prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine»; il d.l. 248/2007 specifica che «in presenza di una pluralità di contratti collettivi della medesima categoria, le società cooperative che svolgono attività ricomprese nell’ambito di applicazione di quei contratti di categoria applicano ai propri soci lavoratori, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, della legge 3 aprile 2001, n. 142, i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria».

Sulla base delle disposizioni citate il Tribunale, attraverso il confronto fra gli ambiti di applicazione dei Ccnl, l’oggetto sociale della cooperativa, l’oggetto del contratto di appalto e le mansioni svolte dal ricorrente, ha accertato che il Ccnl di riferimento ai sensi dell’art. 3, co. 1, l. 142/2001 non poteva essere il Multiservizi bensì quello della Logistica, assai più attinente. Di conseguenza, sono state riconosciute al ricorrente le differenze retributive maturate in base al corretto inquadramento nel Ccnl Logistica.

 

https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2015/05/orientamentolavoro.jpg 400 640 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22024-02-12 10:17:252024-02-12 10:17:25Retribuzione e applicazione di un diverso contratto collettivo
Giurisprudenza in Giurisprudenza

Sul secondo licenziamento

12 Febbraio 2024da Admin2

Cass. civ.. sez. lav., sent. 23/01/2024, n. 2274

La Cassazione è tornata sul complesso tema della successione di provvedimenti espulsivi. La vicenda processuale riguardava un caso nel quale un primo licenziamento disciplinare era stato ritenuto legittimo dal Tribunale ed un secondo, viceversa, era stato ritenuto ingiustificato.

La Cassazione ha ribadito il proprio orientamento in base al quale è legittima l’intimazione di due licenziamenti in successione, fondati su diverse cause o motivi. Il secondo licenziamento è autonomo e distinto rispetto al primo, ed è originariamente privo di effetti, diventando efficace solo nel caso in cui il licenziamento precedente venga riconosciuto invalido o inefficace. Nell’occasione, la Corte ha però precisato alcuni punti relativi ai rapporti fra i due provvedimenti espu

I rapporti fra i due licenziamenti intimati in successione sono di reciproca autonomia, benché con un nesso di diritto sostanziale che comporta l’inefficacia del secondo licenziamento fin al momento in cui il primo, eventualmente, non sia caducato. Ma l’efficacia del secondo licenziamento è definita in modo stabile soltanto quando sul primo licenziamento si sia formata l’efficacia di giudicato: ciò comporta che il giudice del merito non può esimersi dal pronunciarsi sull’efficacia del secondo licenziamento, in assenza di giudicato rispetto al primo. Per questo, aveva sbagliato la Corte d’Appello a rigettare il ricorso del datore di lavoro avverso la sentenza che aveva ritenuto il secondo licenziamento illegittimo dal momento che questo avrebbe ancora potuto diventare efficace, in seguito all’annullamento del primo.

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Giurisprudenza in Giurisprudenza

Licenziamento della lavoratrice in maternità: il requisito della colpa grave

12 Febbraio 2024da Admin2

Cass. civ., sez. lav., ord. 20/12/2023, n. 35617

All’esito di un giudizio nei confronti del datore di lavoro per un credito manifestamente insussistente, una lavoratice veniva condannata per lite temeraria. Il datore di lavoro licenziava la dipendente, anche se quest’ultima si trovava in maternità, ritenendo che il suo comportamento integrasse la nozione di «colpa grave» ex art. 54, d.lgs. 151/2001, necessaria per l’eccezione al divieto di licenziamento della lavoratrice in maternità. Impugnato il licenziamento, viceversa, i giudici di merito lo annullavano. La Cassazione ha confermato la decisione.

Il principio affermato dalla Corte è che la «colpa grave» prevista dall’art. 54 del d.lgs. 151/2001, come eccezione al divieto di licenziamento delle gestanti e delle lavoratrici madri, configura un’ipotesi di colpa qualificata rispetto agli schemi previsti dal Codice civile e dalla contrattazione collettiva come giusta causa di licenziamento. È onere del datore di lavoro provare che sussista tale particolare colpa specificata dalla disposizione, connotata dalla «gravità», che deve essere verificata tenendo conto del comportamento complessivo della lavoratrice.

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Prof.Avv.
Pasqualino Albi

Pasqualino Albi è professore ordinario di diritto del lavoro nel dipartimento di giurisprudenza dell’Università di Pisa e avvocato giuslavorista. È autore di oltre cento pubblicazioni scientifiche in materia di diritto del lavoro, fra le quali tre monografie.

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