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Archivio per categoria: Giurisprudenza

Il superamento del comporto è escluso dal blocco dei licenziamenti durante il Covid 19

4 Novembre 2024da Admin2

Cass. civ., sez. lav., sent. 14 ottobre 2024, n. 26634

Una lavoratrice aveva impugnato il licenziamento ricevuto ritenendo che il c.d. blocco dei licenziamenti, previsto dall’art. 46 del d.l. n. 18/2020 durante la fase più acuta della pandemia del Covid 19 per i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, dovesse applicarsi anche ai licenziamenti per superamento del comporto, quale il suo, intimati durante il periodo di vigenza di tale temporanea causa di nullità dei recessi. La Cassazione, confermando i precedenti gradi di giudizio, ha ritenuto legittimo il licenziamento dal momento che la norma che istituiva il blocco dei licenziamenti ha natura speciale, non potendo quindi essere interpretata in via analogica al di là dei casi previsti del licenziamento collettivo e del licenziamento per g.m.o.

La Corte ha approfittato dell’occasione per ribadire che il superamento del comporto rappresenta una causale giustificatrice autonoma rispetto a quelle generali di giusta causa e giustificato motivo, soggetta soltanto alle regole dell’art. 2110 c.c., speciali rispetto a quelle sulla risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta e alla disciplina limitativa dei licenziamenti individuali.

https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2018/05/Lottemperanza-al-giudicato.-La-giustizia-nellamministrazione.jpg 640 1280 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22024-11-04 17:05:392024-11-04 17:05:39Il superamento del comporto è escluso dal blocco dei licenziamenti durante il Covid 19
Giurisprudenza in Giurisprudenza

Cambio appalto: quali «elementi di discontinuità» escludono il trasferimento d’azienda?

4 Novembre 2024da Admin2

Cass. civ., sez. lav., sent. 24 ottobre 2024, n. 27607

La Cassazione è tornata a pronunciarsi sulla delicata questione relativa ai casi in cui il passaggio nella gestione di un appalto integra anche i requisiti del trasferimento d’azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c., comportando il passaggio dei rapporti di lavoro al nuovo appaltatore senza soluzione di continuità.

Secondo la Cassazione, la formulazione attuale del co. 3 dell’art. 29, d.lgs. 276/2003, a norma del quale l’acquisizione di personale precedentemente impiegato nell’appalto da parte del nuovo appaltatore non costituisce trasferimento d’azienda a condizione che «siano presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa», fa sì che in caso di cambio appalto operi una sorta di presunzione di operatività del trasferimento d’azienda, con inversione dell’onere della prova della presenza degli elementi di discontinuità (che quindi, di norma, sarà interesse dell’appaltatore subentrante dimostrare).

La continuità sussiste, secondo la Corte, quando i mezzi, i beni e i rapporti giuridici passati al nuovo appaltatore sono idonei ad eseguire l’appalto in tendenziali condizioni di autonomia operativa, senza la necessità di integrazioni di rilievo da parte dell’impresa subentrante. Solo quando le innovazioni organizzative e produttive introdotte siano tali da interrompere il nesso funzionale di interdipendenza e complementarietà fra il complesso organizzato e l’attività svolta precedentemente sussistente, il trasferimento d’azienda potrà essere escluso.

https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2024/07/factory-1639990_640.jpeg 462 640 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22024-11-04 16:58:102024-11-04 16:58:10Cambio appalto: quali «elementi di discontinuità» escludono il trasferimento d’azienda?
Giurisprudenza in Giurisprudenza

Durante le ferie, il lavoratore deve mantenere la retribuzione normalmente percepita

14 Ottobre 2024da Admin2

Cass. civ., sez. lav., ord. 27 settembre 2024, n. 25850.

Con la sentenza in oggetto la Suprema Corte è tornata sul tema dell’individuazione delle voci retributive che sono dovute al dipendente durante il godimento delle ferie.

La Corte di Appello aveva riconosciuto il diritto del lavoratore ricorrente a percepire, per ogni giorno di ferie, una retribuzione comprensiva non solo della base tabellare ma anche delle indennità perequativa, compensativa e di turno. La Cassazione, nel rigettare il ricorso del datore di lavoro, ha ripercorso i suoi orientamenti in materia, ricordando che la nozione di retribuzione da applicare durante il periodo feriale è fortemente influenzata dalle indicazioni espresse dalla Corte di Giustizia UE nell’interpretazione della direttiva 2003/88. Secondo la Corte di Giustizia, durante le ferie il lavoratore deve percepire durante il periodo di riposo la retribuzione ordinaria, rischiandosi diversamente di dissuadere i lavoratori dal godimento delle ferie stesse, in contrasto con gli obbiettivi del legislatore europeo.

La Cassazione, a partire almeno dalla sent. n. 13425/2019, ha declinato tale nozione «europea» di retribuzione feriale nel senso che essa debba ricomprendere «qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo “status” personale e professionale del lavoratore», in modo da garantire al lavoratore in ferie condizioni economiche paragonabili a quelle di cui gode quando esercita l’attività lavorativa. Ciò premesso, la Cassazione ha ritenuto attendibile l’inclusione in tale nozione delle indennità su cui verteva la controversia.

https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2024/09/ai-generated-8724366_640.jpg 359 640 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22024-10-14 10:48:332024-10-14 10:48:33Durante le ferie, il lavoratore deve mantenere la retribuzione normalmente percepita
Giurisprudenza in Giurisprudenza

APE Sociale: non è necessario aver fruito dell’indennità di disoccupazione

14 Ottobre 2024da Admin2

Cass. civ., sez. lav., sent. 17 settembre 2024, n. 24950

La Cassazione, con la sentenza in commento, prende posizione su un indirizzo dell’INPS secondo cui, per accedere al beneficio dell’APE Sociale, che consiste nella fruizione di una indennità fino al conseguimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia, è necessario non solo trovarsi in stato di disoccupazione ma anche l’aver beneficiato di un’indennità di disoccupazione. L’INPS difendeva questa tesi sulla base del fatto che l’art. 1, co. 179, l. n. 232/2016 – che istituisce l’APE Sociale – condiziona la prestazione, fra le altre cose, al fatto che i richiedenti «abbiano concluso integralmente la prestazione per la disoccupazione loro spettante».

Secondo la Cassazione, che conferma le precedenti sentenze di merito, tale tesi è priva di fondamento. Un’interpretazione testuale e logica della disposizione rende evidente che il requisito della distanza temporale fra la fruizione dell’indennità e l’APE Sociale rileva solo qualora l’indennità sia stata effettivamente fruita, ma non condiziona affatto il diritto all’APE che, d’altra parte, è maggiormente necessario quando il beneficiario non ha potuto nemmeno beneficiare dell’indennità di disoccupazione.

https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2020/04/vasi-pieni-di-soldi-e-piante-sopra-di-loro_23-2148305933.jpg 417 626 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22024-10-14 10:48:132024-10-14 10:48:13APE Sociale: non è necessario aver fruito dell’indennità di disoccupazione
Giurisprudenza in Giurisprudenza

La Cassazione sulla posticipazione del TFS per i dipendenti pubblici prepensionati

14 Ottobre 2024da Admin2

Cass. civ., sez. lav., sent. 25 settembre 2024, n. 25621

Una recente sentenza della Cassazione ha affrontato il delicato tema della posticipazione dell’erogazione del trattamento di fine servizio per i dipendenti pubblici con riferimento, nello specifico, ai lavoratori in soprannumero che hanno avuto accesso al prepensionamento ai sensi dell’art. 11, co. 2, d.l. n. 95/2012. Questa disposizione, fino al 2016, ha reso possibile il pensionamento dei dipendenti pubblici eccedentari secondo i requisiti più favorevoli previgenti alla riforma c.d. Fornero, stabilendo altresì che la liquidazione del trattamento di fine rapporto avvenga al momento in cui i prepensionati avrebbero compiuto l’età pensionabile prevista dal regime ordinario post-riforma.

La liquidazione del TFS dei dipendenti pubblici viene posticipata rispetto alla cessazione del rapporto di lavoro, con finalità di contenimento della spesa: il regime generale prevede l’erogazione dopo 24 mesi in caso di pensionamento “anticipato” e dopo 12 mesi in caso di pensionamento per raggiungimento dei limiti di età o dell’anzianità massima (art. 3, co. 2, d.l. 97/1997). Queste previsioni sono state oggetto di più questioni di costituzionalità all’esito delle quali la Consulta, pur senza pervenire ad una dichiarazione di incostituzionalità, ha evidenziato lo squilibrio del sistema che rischia di compromettere, per i dipendenti pubblici, il godimento delle funzioni retributive e previdenziali del TFS (Corte cost., sentt. nn. 159/2019 e 130/2023).

Con la sentenza in oggetto, per quanto riguarda la specifica disposizione in esame, la Cassazione non ha condiviso i dubbi di costituzionalità sollevati dal ricorrente: la deroga rispetto al regime ordinario di liquidazione del TFS – che per i dipendenti pubblici prepensionati può avvenire a distanza anche di anni dalla cessazione del rapporto di lavoro – è integrata e bilanciata dal riconoscimento, ai lavoratori soprannumerari, del trattamento pensionistico in anticipo rispetto alla generalità dei lavoratori dipendenti, con applicazione dei più favorevoli requisiti di accesso alla pensione previsti prima della riforma del sistema previdenziale.

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Giurisprudenza in Giurisprudenza

ASpI: anche il disoccupato in carcere deve dichiarare l’immediata disponibilità al lavoro

11 Settembre 2024da Admin2

Cass. civ., sez. lav., sent. 21 agosto 2024, n. 22993

Un lavoratore dipendente veniva posto in custodia cautelare in carcere e, conseguentemente licenziato. Presentata domanda per conseguire l’indennità di disoccupazione (all’epoca dei fatti l’ASpI), l’INPS gliela riconosceva soltanto a partire dal momento, di alcuni mesi successivo, in cui era stata rilasciata la dichiarazione d’immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa. Il ricorso per ottenere il pagamento dell’indennità fin dal momento della presentazione della domanda era stato rigettato in primo grado ma accolto in Appello.

La Cassazione, viceversa, ha accolto il ricorso dell’INPS e affermato che l’indennità è dovuta solo dal rilascio della dichiarazione: nel contesto dell’ASpI, il legislatore ha prescritto in termini generali la necessità della dichiarazione di immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa, che non rappresenta un mero adempimento formale bensì è elemento costitutivo dello stesso stato di disoccupazione legalmente rilevante. Tale requisito non può ritenersi implicitamente derogato per chi si trova in carcere, dal momento che lo stato di detenzione non è logicamente o praticamente incompatibile con la dichiarazione di disponibilità al lavoro, potendo il detenuto essere autorizzato allo svolgimento di attività lavorativa o recuperare lo stato di libertà prima dell’arrivo di proposte di lavoro.

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Prof.Avv.
Pasqualino Albi

Pasqualino Albi è professore ordinario di diritto del lavoro nel dipartimento di giurisprudenza dell’Università di Pisa e avvocato giuslavorista. È autore di oltre cento pubblicazioni scientifiche in materia di diritto del lavoro, fra le quali tre monografie.

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