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Archivio per categoria: Giurisprudenza

Cassazione: frasi offensive e irrisorie sull’orientamento sessuale e giusta causa

23 Marzo 2023da Admin2

La Cassazione, con l’ordinanza n. 7029 del 09.03.2023, ha riformato la sentenza di merito che aveva ritenuto illegittimo il licenziamento per giusta causa – in ragione della mancanza di proporzionalità di un lavoratore a cui era stato contestato di aver rivolto frasi sconvenienti ed offensive (quali: “ma perché sei uscita incinta pure tu?”, “ma perché non sei lesbica tu?”, “e come sei uscita incinta?”) nei confronti di una collega alla presenza di altre persone – accogliendo il ricorso della società e dichiarando legittimo il licenziamento dalla stessa irrogato.

Per la Cassazione, la valutazione operata dal giudice di merito “non è conforme ai valori presenti nella realtà sociale ed ai principi dell’ordinamento” rimandando “ad un comportamento contrario soltanto alle regole della buona educazione e degli aspetti formali del vivere civile, laddove il contenuto delle espressioni usate e le ulteriori circostanze di fatto nel quale il comportamento del dipendente deve essere contestualizzato si pongono in contrasto con valori ben più pregnanti, ormai radicati nella coscienza generale ed espressione di principi generali dell’ordinamento”.

Per la sentenza, infatti, “costituisce innegabile portato dell’evoluzione della società, l’acquisizione della consapevolezza del rispetto che merita qualunque scelta di orientamento sessuale e del fatto che essa attiene ad una sfera intima e assolutamente riservata della persona” e “l’intrusione in tale sfera, effettuata peraltro con modalità di scherno e senza curarsi della presenza di terze persone, non può pertanto essere considerata secondo il “modesto” standard della violazione di regole formali di buona educazione … ma deve essere valutata tenendo conto della centralità
che nel disegno della Carta costituzionale assumono i diritti inviolabili dell’uomo (articolo 2), il riconoscimento della pari dignità sociale, “senza distinzione di sesso”, il pieno sviluppo della persona umana (articolo 3), il lavoro come ambito di esplicazione della personalità dell’individuo (articolo 4), oggetto di particolare tutela “in tutte le sue forme ed applicazioni” (articolo 35)”.

L’importanza di tale aspetto è, altresì, dimostrata dalla circostanza che il legislatore, negli ultimi anni, ha previsto discipline antidiscriminatorie tese ad impedire o a reprimere forme di discriminazione legate al sesso.

Inoltre, occorre tenere conto della “generale esigenza di riservatezza relativa a dati sensibili riferibili alla persona, tra i quali quello relativo all’orientamento sessuale”.

https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2020/02/GettyImages-182171560-scaled.jpg 1707 2560 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22023-03-23 13:09:512023-06-15 10:04:16Cassazione: frasi offensive e irrisorie sull’orientamento sessuale e giusta causa
Giurisprudenza in Giurisprudenza

Imposizione di un contratto collettivo e condotta antisindacale: precisare ciò che è ovvio non è mai inutile

25 Gennaio 2023da Admin2

Il Tribunale di Bologna, con la decisione dello scorso 12 gennaio ha confermato la decisione del medesimo Ufficio Giudiziario del 2021 assunta all’esito di un procedimento di repressione della condotta antisindacale.

La vicenda è nota e riguarda l’imposizione aziendale ai lavoratori di un contratto collettivo sottoscritto da una associazione sindacale ritenuta carente del requisito della maggiore rappresentatività comparata

Questione delicata e complessa ma che forse può meglio comprendersi lasciando parlare il testo della decisione, immerso in una fattualità che trova forma con la luce chiara del diritto.

Qui se ne riporta un brano:

“Ne discende che il contratto collettivo sottoscritto nel settembre 2020 tra Assodelivery e UGL Rider, in assenza del requisito della maggiore rappresentatività comparata in capo a quest’ultima, non appare idoneo a derogare alla disciplina di legge e quindi a produrre gli effetti di cui all’art. 47 quater co. 1.

Ma – ciò che più conta in questa sede – soprattutto ne discende la illegittimità e la antisindacalità della successiva condotta di Deliveroo che ha sostanzialmente imposto ai suoi rider l’adesione a nuove condizioni di contratto, conformi alle previsioni di un CCNL inidoneo a dettare validamente una disciplina prevalente rispetto a quella legale.

A fortiori appare illegittima ed antisindacale la condotta di Deliveroo, consistente nel recesso unilaterale e nella definitiva cessazione del rapporto con quei rider che (come il Mancuso) hanno rifiutato la adesione alle nuove condizioni conformi alle previsioni di un CCNL concluso con una organizzazione sindacale priva del requisito della maggiore rappresentatività.

La circostanza che Deliveroo sia iscritta alla associazione firmataria Assodelivery non elide la discriminatorietà ed antisindacalità della sua condotta, poiché la società opponente è receduta unilateralmente da tutti i contratti in essere di fatto obbligando i suoi rider ad aderire alle condizioni della nuova contrattazione collettiva, sostanzialmente imponendo l’adozione di un determinato CCNL come condizione alla prosecuzione del rapporto.

Né la condotta di Deliveroo può essere ritenuta legittima in forza della previsione contenuta nei contratti individuali di un diritto di recesso ad nutum con preavviso di 30 giorni.

Sul punto anzitutto stupisce l’affermazione della difesa di Deliveroo, secondo cui “ancora una volta non è chiaro da cosa sarebbe desumibile o da quale elemento il Giudice abbia tratto la convinzione che i recessi in esame fossero subordinati alla accettazione del CCNL o dei termini previsti dal CCNL” (pag. 82 ricorso in opposizione): è infatti la stessa comunicazione inviata in data 2.10.2020 a tutti i rider che chiarisce in modo inequivoco che la prosecuzione del rapporto con Deliveroo era subordinata alla firma del nuovo contratto. Si legge infatti nella missiva che “Se non firmerai il nuovo contratto di collaborazione entro il 2 novembre, a partire dal giorno 3 novembre non potrai più consegnare con Deliveroo poiché il tuo contratto non sarà più conforme a legge”.

In questo caso quindi il recesso è esercitato in palese violazione dei principi di buona fede e correttezza, perché è utilizzato come strumento di coazione della volontà del rider per indurlo – con la esplicita e francamente brutale minaccia della immediata e definitiva risoluzione del rapporto – all’accettazione di condizioni negoziali non conformi a legge (perché, non ci si stanca di ribadirlo, contenute in un accordo collettivo privo di efficacia derogatoria ai sensi dell’art. 47 quater D. Lgs. 81/2015)».

Ecco comunque il testo integrale della sentenza: buona lettura.

 

  • Trib. Bologna 12.1.2023
https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2020/06/riders_open-e1606923742329.jpg 374 600 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22023-01-25 16:54:312023-01-25 16:54:31Imposizione di un contratto collettivo e condotta antisindacale: precisare ciò che è ovvio non è mai inutile
Giurisprudenza in Giurisprudenza

Cassazione: giusta causa e licenziamento per plurime mancanze

9 Gennaio 2023da Admin2

La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 32680 del 7 novembre 2022, dopo aver ricordato che qualora il licenziamento sia intimato per giusta causa e siano stati contestati al dipendente diversi episodi rilevanti sul piano disciplinare, ciascuno di essi, autonomamente considerato, costituisce base idonea per giustificare la sanzione, rimarca che non si tratta di una presunzione assoluta, essendo possibile, in giudizio, la prova contraria da parte del lavoratore, che dimostri che solo presi congiuntamente in considerazione, i singoli episodi, erano tali da non consentire la prosecuzione neanche provvisoria del rapporto.

 

  • Cassazione_2022_32680
https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2020/02/GettyImages-182171560-scaled.jpg 1707 2560 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22023-01-09 14:22:062023-06-15 10:11:32Cassazione: giusta causa e licenziamento per plurime mancanze
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Cassazione: società a controllo pubblico e mansioni superiori

9 Gennaio 2023da Admin2

Con la sentenza n. 35421 del 15.7.2022, la Cassazione afferma il seguente principio di diritto: “Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle società a controllo pubblico non è disciplinato dal d.lgs. n. 165 del 2001, bensì dalle norme del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro alle dipendenze di privati, che trovano applicazione in assenza di una disciplina speciale derogatoria. L’art. 18 del d.l. n. 112 del 2008 e la legislazione della Regione Sicilia, che fa divieto alle società a partecipazione totale o maggioritaria della Regione di procedere all’assunzione di nuovo personale ed impone il contenimento della spesa per il personale, non comportano una deroga all’applicazione, quanto alla disciplina delle mansioni, dell’art 2103 cod. civ.”.

Pur affrontando un caso rientrante nell’ambito di applicazione dell’art. 18 del d.l. n. 112/2008, è interessante notare come la Cassazione abbia comunque richiamato anche quanto previsto dall’art. 19 del d.lgs. n. 175/2016, affermando che “Nel rapporto di lavoro alle dipendenze di privati, pertanto, l’attribuzione della qualifica superiore avviene nell’ambito dell’unico rapporto già costituito e non determina l’instaurazione di un rapporto autonomo, distinto dal precedente, sicché non può essere equiparata all’assunzione. Alla luce del richiamato principio, applicabile alle società a partecipazione pubblica per la natura privatistica delle stesse e dei rapporti dalle medesime instaurati, è da escludere che la disciplina del reclutamento, dettata dapprima dall’art. 18 del d.l. n. 112 del 2008 e poi dall’art. 19 del d.lgs. n. 175 del 2016, possa essere interpretato nel senso di ricomprendere anche le progressioni di carriera”.

 

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Limiti di ragionevolezza e retribuzione del lavoro straordinario per il personale direttivo

27 Ottobre 2022da Admin2

Con sentenza del 13 luglio 2022 il Tribunale di Firenze, giudice monocratico del lavoro, ha accolto la domanda del lavoratore, quadro con mansioni di direttore di ipermercato, con riferimento al compenso per le ore di straordinario eccedenti il limite della ragionevolezza (nel caso affrontato, pari a 60 ore mensili).

Il Tribunale, nonostante l’art. 17 d.lgs. n. 66/2003 – che prevede per il personale direttivo l’esclusione dai limiti legali relativi all’orario di lavoro – e l’art. 134 del CCNL applicato al rapporto (Terziario Confcommercio) – che non prevede il pagamento di eventuali straordinari svolti (salvo quelli resi di notte o nei giorni festivi) dal personale di direzione tecnica o amministrativa , ha osservato come sussista il diritto al pagamento del compenso per le ore di straordinario laddove la prestazione, per la sua durata, superi il limite della ragionevolezza e sia particolarmente gravosa e usurante.

 

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Divieto di indossare segni o indumenti a connotazione religiosa e discriminazioni

27 Ottobre 2022da Admin2

La Corte di Giustizia UE, con la sentenza 13 ottobre 2022 (causa n. C-344/20) è intervenuta in relazione ad un giudizio concernente la negazione della possibilità di svolgere un tirocinio a una donna di confessione musulmana che si era rifiutata di rimuovere il velo durante il lavoro a fronte di una regola della cooperativa, che vietava la manifestazione, anche con l’abbigliamento o in altro modo, delle proprie convinzioni religiose, filosofiche o politiche.

La Corte di Giustizia ha ribadito che una norma interna di un’impresa privata che vieti di manifestare o indossare sul luogo di lavoro qualsiasi segno visibile di convinzioni politiche, filosofiche o religiose non costituisce una discriminazione diretta ai sensi del diritto comunitario, allorché essa imponga a tutti i dipendenti, in maniera generale e indiscriminata, la neutralità di comportamento.

La disposizione regolamentare potrebbe essere fonte di una discriminazione indiretta solo se venisse dimostrato – compito spettante al giudice del rinvio – che l’obbligo apparentemente neutro che essa contiene comporti, di fatto, un particolare svantaggio per le persone che aderiscono a una determinata religione o ideologia.

In tale caso, la discriminazione non ricorrerebbe se la misura fosse giustificata da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento fossero appropriati e necessari, precisando che la semplice volontà di un datore di lavoro di condurre una politica di neutralità, sebbene rappresentante una finalità legittima, non è sufficiente, in quanto tale, a giustificare in modo oggettivo una differenza di trattamento indirettamente fondata sulla religione o sulle convinzioni personali, dato che il carattere oggettivo di una siffatta giustificazione può ravvisarsi solo a fronte di un’esigenza reale del datore di lavoro, che spetta a quest’ultimo dimostrare.

 

 

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Prof.Avv.
Pasqualino Albi

Pasqualino Albi è professore ordinario di diritto del lavoro nel dipartimento di giurisprudenza dell’Università di Pisa e avvocato giuslavorista. È autore di oltre cento pubblicazioni scientifiche in materia di diritto del lavoro, fra le quali tre monografie.

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