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Archivio per categoria: Giurisprudenza

Corte EDU: no alla sospensione dell’obbligo vaccinale

26 Agosto 2021da Admin2

La Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo ha respinto il ricorso presentato da 672 vigili del fuoco contro la legge francese che impone loro l’obbligo di essere vaccinati contro il Covid-19.

In particolare, con il ricorso si chiedeva “di sospendere l’obbligo vaccinale”, o in alternativa “di sospendere l’impossibilità di lavorare per chi non è vaccinato” oppure “di non sospendere il pagamento del salario per i non vaccinati”.

La Corte ha rigettato la richiesta delle misure urgenti, non sussistendo i presupposti che determinano un’azione immediata.

Il Comunicato

  • Comunicato 25.8.2021
https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2021/02/different-types-covid-19-vaccine-glass-vial-bottles-with-different-storage-temperature-condition-label_53876-96038.jpg 426 640 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22021-08-26 18:23:192021-08-26 18:23:19Corte EDU: no alla sospensione dell’obbligo vaccinale
Giurisprudenza in Giurisprudenza

Critiche su facebook e licenziamento disciplinare

19 Agosto 2021da Admin2

Con la sentenza del 26 luglio 2021 il Tribunale di Taranto ha affermato che il comportamento del lavoratore che con un post su facebook attacca genericamente ed indirettamente le precedenti gestioni della società datrice non può avere rilevanza disciplinare e, quindi, non può legittimare il licenziamento.

Nel caso di specie, il dipendente aveva accusato i produttori di una fiction televisiva di non aver avuto il coraggio di indicare, quali responsabili della morte di un bambino, i proprietari dell’azienda presso cui lo stesso lavorava, ma che all’epoca dei fatti erano diversi dai suoi attuali datori.

Il Tribunale, in via preliminare, ha precisato che anche una condotta extra-lavorativa, quale la pubblicazione di un post denigratorio della proprietà aziendale sul profilo facebook personale, può avere una rilevanza disciplinare.

A tal fine, è necessario che il post non solo contenga affermazioni gravemente offensive esorbitanti dal diritto di critica, ma che faccia un riferimento intenzionale e diretto alla società.

Circostanza, questa, assente nel caso di specie, ove le parole denigratorie erano rivolte alla diversa compagine societaria che possedeva l’azienda nei primi anni 2000.

Il Tribunale di Taranto ha quindi accolto il ricorso del lavoratore condannando la società alla reintegrazione a fronte dell’insussistenza del fatto contestatogli.

La sentenza

  • Trib. Taranto sent. 26-07-2021
https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2020/07/lavorare-sul-computer-portatile_1426-706.jpg 413 626 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22021-08-19 10:38:472021-08-19 10:40:35Critiche su facebook e licenziamento disciplinare
Giurisprudenza in Giurisprudenza

Part time e discriminazione indiretta

6 Agosto 2021da Admin2

Con la sentenza 29 luglio 2021 n. 21801 la Corte di Cassazione ha stabilito che l’attribuzione di un punteggio proporzionato al regime orario (part time o tempo pieno) ai fini di una promozione può costituire una forma di discriminazione indiretta se, nella sua concreta applicazione, colpisce solo una categoria di dipendenti (quelle di sesso femminile).

Nel caso di specie, una dipendente dell’Agenzia delle Entrate, in occasione di un concorso interno bandito per attribuire una progressione economica, era risultata penalizzata dal fatto di essere una dipendente part-time, essendo stata prevista nel bando l’assegnazione di un punteggio relativo alla “esperienza di servizio” riproporzionato per i lavoratori part time, in ragione del minore orario di lavoro svolto.

La Suprema Corte, in riforma della sentenza di merito, ha precisato che in coerenza con la definizione di discriminazione indiretta contenuta nelle fonti interne ed internazionali, l’articolo 25, comma 2, d.lgs. n. 198/2006 ravvisa una discriminazione indiretta di genere «quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto ai lavoratori dell’altro sesso…».

La sentenza impugnata – dopo avere erroneamente valorizzato il fatto che il criterio di selezione colpiva tutti i lavoratori part time, indipendentemente dal genere – ha verificato l’«effetto discriminatorio», con il criterio dei dati statistici ma all’interno della sola categoria dei dipendenti part-time, giungendo ad affermare che, tra i dipendenti part time, le donne non erano state svantaggiate rispetto agli uomini dal criterio di selezione.

Una volta individuati tutti i destinatari della disposizione denunciata, il giudice del merito avrebbe dovuto procedere con il metodo comparativo, tenendo conto che i lavoratori «colpiti» dalla disposizione erano tutti i lavoratori part time, ai quali veniva ridotto il punteggio riconosciuto dal bando per ciascun anno di servizio, in proporzione alla riduzione della prestazione oraria.

Per applicare correttamente il metodo di comparazione il giudice avrebbe dovuto, dunque, individuare, nell’ambito dei destinatari della disposizione in quale percentuale dei lavoratori di sesso maschile vi erano soggetti colpiti (in quanto part time) o non colpiti (in quanto full time) dalla disposizione ed in quale percentuale delle lavoratrici di sesso femminile vi erano dipendenti colpite (part time) o non colpite (full time) dalla disposizione.

All’esito del raffronto tra le rispettive percentuali, l’effetto discriminatorio emergerebbe se i dipendenti part time colpiti dal criterio di selezione fossero costituti in percentuale significativamente prevalente da donne.

In detta eventualità, spetterebbe al datore di lavoro provare la sussistenza della causa di giustificazione prevista dall’articolo 25, comma 2, d.lgs. n. 198/2006 ovvero: che la disposizione adottata riguardava requisiti essenziali allo svolgimento della attività lavorativa; che essa rispondeva ad un obiettivo legittimo; che i mezzi impiegati per il suo conseguimento erano appropriati e necessari.

La sentenza

https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2020/03/documento-della-tenuta-della-mano-dell-avvocato-maschio-sullo-scrittorio-nell-aula-di-tribunale_23-2147898384.jpg 352 626 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22021-08-06 18:15:052021-08-06 18:15:05Part time e discriminazione indiretta
Giurisprudenza in Giurisprudenza

Utilizzo delle e-mail inviate dal dipendente a fini disciplinari

6 Agosto 2021da Admin2

Con ordinanza 31 maggio 2021 n. 15161 la Corte di Cassazione ha affermato che l’utilizzo a fini disciplinari delle e-mail dal contenuto offensivo, inviate da un dipendente in una mailing list e conosciute dalla società a seguito di una segnalazione esterna, non integra una violazione del codice della privacy, a condizione che il datore utilizzi i relativi dati solo per finalità disciplinari e non anche per indagare sulle opinioni del lavoratore.

La Cassazione, confermando la sentenza di merito, in via preliminare, ha osservato che la dichiarazione resa da una persona in una conversazione è un elemento identificativo e, come tale, deve essere trattata alla stregua di un dato personale.

L’acquisizione di un dato personale del genere tuttavia non può risultare illecita allorquando non sia stata raccolta direttamente dal soggetto che la utilizza, ma provenga da un terzo che ne ha avuta diretta conoscenza.

Secondo i Giudici di legittimità, inoltre, il trattamento dei dati contenuti all’interno di un e-mail -seppur in ipotesi configurabili come “sensibili” – non richiede il consenso dell’interessato, quando sia necessario per adempiere ad un obbligo imposto o consentito dalla legge, come l’esercizio del potere disciplinare nei confronti dei propri dipendenti.

L'ordinanza

  • Cass. ord. n. 15161: 2021
https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2021/01/240_F_233586848_39HjhoXApWrqXrQsNBv0upavhiec8l21-1.jpg 427 640 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22021-08-06 18:14:402021-08-06 18:14:40Utilizzo delle e-mail inviate dal dipendente a fini disciplinari
Giurisprudenza in Giurisprudenza

È legittima la sospensione senza retribuzione del dipendente che rifiuta di vaccinarsi?

3 Agosto 2021da Admin2

Si susseguono in giurisprudenza gli interventi sul tema della legittimità della sospensione dal lavoro del dipendente che rifiuta la vaccinazione contro il virus Sars-Cov-2/Covid-19.

Le due decisioni che riportiamo si sono pronunciate per la legittimità della sospensione ma, come è evidente, il tema è molto complesso e delicato.

Il Tribunale di Roma, con la decisione 18441 del 2021, ha ritenuto legittima la sospensione ex art. 42 d.lgs. n. 81/2008 di una dipendente ritenuta inidonea dal medico competente perchè si era rifiutata di sottoporsi al vaccino  contro il virus Sars-Cov-2. Ad avviso del Giudice la sospensione è senza diritto alla retribuzione giacchè “se le prestazioni lavorative sono vietate dalle prescrizioni del medico competente con conseguente legittimità del rifiuto datoriale di riceverle, il datore di lavoro non è tenuto al pagamento della retribuzione”.

Con ordinanza del 19 maggio 2021, il Tribunale di Modena (peraltro citata dalla decisione del Tribunale di Roma sopra richiamata) ha affermato la legittimità del provvedimento di sospensione dal lavoro senza retribuzione adottato da un datore di lavoro operante in una RSA nei confronti di due addetti con mansioni sanitarie che avevano rifiutato di vaccinarsi contro il virus.

Il Tribunale, in particolare, ha osservato che, ai sensi dell’art. 20 d.lgs.  n. 81/2008 il prestatore di lavoro, nello svolgimento dell’attività lavorativa, è tenuto a osservare precisi doveri di cura e sicurezza per la tutela dell’integrità psico-fisica propria e di tutti i soggetti terzi con cui entra in contatto.

Tale disposizione ha natura precettiva, con conseguente sanzionabilità giuridica di comportamenti difformi dalla medesima.

Allo stesso tempo l’imprenditore, ai sensi dell’art. 2087 c.c., è obbligato a garantire la salute e la sicurezza sia degli altri dipendenti che dei terzi.

Datore di lavoro e prestatore di lavoro sono quindi tenuti a collaborare fattivamente alla realizzazione di un ambiente di lavoro salubre e sicuro: il tutto per garantire il soddisfacimento e la tutela di beni di primaria rilevanza costituzionale (artt. 32 e 41 Cost.).

Il Giudice del Lavoro ha inoltre osservato che all’epoca dei fatti, l’obbligatorietà della sottoposizione al vaccino contro il virus Sars – Cov-2 non era prevista da alcuna espressa norma di legge.

Tuttavia il d.l. n. 44/2021, sopravvenuto nelle more del processo, deve considerarsi elemento esegetico utile ai fini della definizione della controversia.

Il rifiuto della vaccinazione, quindi, se pur non può dar adito a provvedimenti di natura disciplinare, può avere delle conseguenze sul piano della oggettività a svolgere determinate mansioni.

Verificata l’impossibilità di utilizzare gli addetti sanitari in una posizione lavorativa non a contatto con altri dipendenti o terzi, il Tribunale ha pertanto ritenuto corretto il comportamento del datore che ha proceduto a sospendere i due dipendenti senza la corresponsione di alcuna retribuzione.

 

Le decisioni

  • Tribunale di Roma
  • Tribunale di Modena
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Giurisprudenza in Giurisprudenza

Corte di Giustizia: legittimo vietare l’uso del velo islamico o di altri segni riconoscibili di una religione

29 Luglio 2021da Admin2

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza 15 luglio 2021, emessa nelle cause riunite C-804/2016 e C-341/2019, ha affermato che sul posto di lavoro può essere vietato l’uso del velo islamico o di altri segni riconoscibili di una religione.

La Corte, in particolare, ha affermato che la norma interna dell’impresa che pone un tale divieto non costituisce, nei confronti dei lavoratori che seguono determinate regole di abbigliamento in applicazione di precetti religiosi, una discriminazione diretta fondata sulla religione o sulle convinzioni personali, ai sensi della direttiva 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre 2000, ove tale norma sia applicata in maniera generale e indiscriminata.

Una differenza di trattamento indirettamente fondata sulla religione o sulle convinzioni personali può essere giustificata dalla volontà del datore di lavoro di perseguire una politica di neutralità politica, filosofica e religiosa nei confronti dei clienti o degli utenti, a condizione che tale politica risponda ad un’esigenza reale di detto datore di lavoro.

Un divieto che, invece, si limiti all’uso di segni di convinzioni politiche, filosofiche o religiose vistosi e di grandi dimensioni è tale da costituire una discriminazione diretta fondata sulla religione o sulle convinzioni personali, che non può in ogni caso essere giustificata.

La sentenza

  • CGUE 15.7.2021
https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2020/10/bandiere-dell-ue-di-fronte-alla-commissione-europea_163782-5238.jpg 417 626 Admin2 https://www.studiolegalealbi.com/wp-content/uploads/2019/07/logo-albi.png Admin22021-07-29 21:54:352021-07-29 21:54:35Corte di Giustizia: legittimo vietare l’uso del velo islamico o di altri segni riconoscibili di una religione
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Prof.Avv.
Pasqualino Albi

Pasqualino Albi è professore ordinario di diritto del lavoro nel dipartimento di giurisprudenza dell’Università di Pisa e avvocato giuslavorista. È autore di oltre cento pubblicazioni scientifiche in materia di diritto del lavoro, fra le quali tre monografie.

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